Vendere casa dopo il Superbonus può attirare il mirino del Fisco
La prassi dell’Agenzia delle Entrate e la giurisprudenza considerano attività d’impresa l’aver svolto anche un solo affare. A rischio recuperi Iva e Irap, nonché la spettanza del Superbonus.
Il Superbonus, si sa, ha rappresentato tante cose dalla sua entrata in vigore nel 2020. Non si è trattato, infatti, “solo” di una generosissima detrazione fiscale per incentivare l’efficientamento energetico e sismico del patrimonio edilizio esistente, ma anche di una vera e propria “leva” economica, attraverso la quale i proprietari di immobili hanno potuto programmare la realizzazione di lavori (quasi) gratis, aumentando nel migliore dei casi il valore del proprio bene.
In questo senso, il Superbonus è stato anche uno strumento speculativo, con soggetti che hanno realizzato gli interventi agevolati proprio con l’intenzione di “lucrare”, programmando ad esempio di vendere l’immobile una volta ristrutturato.
Il legislatore sulle speculazioni
Per quanto tale scelta sia assolutamente legittima, il legislatore è intervenuto di recente per penalizzare simili comportamenti, introducendo una disciplina speciale di tassazione delle plusvalenze realizzate da compravendite messe in atto prima del trascorrere di 10 anni dalla conclusione dei lavori agevolati.
Tale “extra tassa” si applica alle vendite realizzate a partire dal 1° gennaio 2024, ma non è affatto l’unica criticità che gli eventuali venditori si troveranno davanti.
Non è detto, infatti, che vendere l’immobile ristrutturato con Superbonus sia considerata dal Fisco una semplice attività “privata”, soprattutto quando gli importi in gioco sono elevati. Passando in rassegna la prassi dell’Agenzia delle Entrate in materia e la giurisprudenza di Cassazione, infatti, emerge come simili compravendite possano piuttosto essere considerate attività d’impresa, con la conseguenza che in caso di controlli il contribuente potrebbe vedersi accusato di non aver versato l’Iva e l’Irap, ma anche di non aver correttamente fruito del Superbonus.
Quando si configura attività d’impresa
Non esiste una regola che permetta di stabilire quando e come si configura attività d’impresa.
Verosimilmente, si può ritenere che la vendita “una tantum” di un edificio ristrutturato (o di un’unità immobiliare) rientri tra le facoltà concesse alle persone fisiche, a condizione che alla base vi siano necessità documentabili. Diverso e ben più “rischioso” sotto il profilo fiscale è invece il caso in cui si decida di ristrutturare un edificio e di venderne gran parte.
Tutto, dunque, dipende dal singolo caso specifico.
Le Entrate hanno in molteplici occasioni definito la vendita a terzi di unità immobiliari come attività d’impresa, rispondendo per lo più a quesiti riguardanti la corretta tassazione dell’introito derivante dal negozio. Il Fisco esprime questa opinione dal 2002, quando ha emanato la Risoluzione n. 204, nella quale si legge che “l’attività compiuta dall’istante deve considerarsi imprenditoriale, avendo realizzato un complesso immobiliare composto di 49 box destinato non al proprio uso o a quello della propria famiglia, bensì alla vendita a terzi, avvalendosi di un’organizzazione produttiva idonea, e svolgendo un’attività protrattasi nel tempo”.
Ai fini tributari, infatti, è considerato reddito d’impresa ai sensi dell’art. 55 del Tuir il profitto derivante dall’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività economiche, senza che sia necessario essere costituiti come azienda o società.
Basta un singolo affare
È evidente, però, che dovrebbe essere meglio specificato cosa si intenda per operazione “destinata alla vendita a terzi”. Sembra, cioè, che il fine speculativo del comportamento messo in atto debba sussistere sin dall’inizio, elemento che però sarebbe tutto da dimostrare in sede di eventuali contestazioni.
In più, mentre nel caso in cui siano state ristrutturate con Superbonus e vendute varie unità immobiliari o un intero edificio, la configurazione di un’attività d’impresa risulta altamente concreta, può davvero dirsi lo stesso quando ad essere venduto è un singolo immobile, anche solo un appartamento?
Purtroppo, tale circostanza non “salva” dal rischio di cui trattiamo. L’opinione del Fisco prima richiamata, infatti, è ricalcata da una serie di pronunce della Cassazione, che ha sottolineato come “non può escludersi la qualità di imprenditore in colui il quale compia un unico affare, di non trascurabile rilevanza economica, a seguito dello svolgimento di un’attività che abbia richiesto una pluralità di operazioni” (sentenza n. 36992/2022, in senso simile si veda anche l’ordinanza n. 15931/2021).
È indubbio che spesso vendere un immobile ristrutturato con Superbonus rappresenta un’operazione di grande rilevanza economica, mentre risulta più incerto comprendere se i vari step da mettere in atto per ottenere il Superbonus (appaltare i lavori, attivare tecnici esperti, gestire le pratiche edilizie e fiscali, etc.) possano rientrare nel concetto di “pluralità di operazioni” menzionato dalla Cassazione.
Perdita del Superbonus
Infine, è noto che il Superbonus, a differenza di Ecobonus e Sismabonus ordinari, rappresenta un’agevolazione fiscale riservata alle sole persone fisiche. Le norme sono chiare infatti nell’escludere le imprese. Nel dettaglio, il co. 9 dell’art. 119 del DL 34/2020, elencando i beneficiari del Superbonus cita le “persone fisiche al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, arte o professione”.
Nel caso del Superbonus, dunque, la chiarezza delle norme rende evidente che laddove questo sia fruito da soggetti che, pur essendo persone fisiche, svolgono attività imprenditoriali anche solo “di fatto”, si può configurare un caso di fruizione indebita.
Ma come detto, anche svolgere un singolo affare, come vendere un appartamento ristrutturato con Superbonus, può far ricadere l’attività sotto l’ombrello dell’esercizio d’impresa. E così, oltre all’eventuale recupero Iva e Irap, il Fisco potrebbe contestare la spettanza stessa del Superbonus, proprio perché ad ottenerlo non è stato un privato al di fuori dell’esercizio dell’attività d’impresa. Il rischio, in sostanza, è quello di subire anche un recupero fiscale per bonus non spettante, o peggio, inesistente.