Trasformare una casa rurale con stalla e porcile in un condominio con tre appartamenti. È possibile sfruttando il Sismabonus?
Il problema era stato sollevato da una società titolare del diritto di usufrutto su un complesso immobiliare ex rurale composto da quattro unità: una abitazione, una stalla/fienile, un porcile/pollaio e un ricovero attrezzi.
Detto complesso doveva essere oggetto di un intervento di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e successiva ricostruzione, con contestuale trasformazione in un condominio minimo composto da tre unità abitative e un fabbricato secondario adibito a deposito per ospitare servizi comuni ai tre alloggi.
Con queste premesse l’istante aveva chiesto all’Agenzia delle Entrate di rispondere alle seguenti domande:
- è applicabile il “Sisma bonus” in vigore dal 1° gennaio 2017?
- quante sono le agevolazioni spettanti in relazione alle unità immobiliari oggetto di intervento?
- quante sono le agevolazioni spettanti in relazione alle parti condominiali?
- chi quantifica le suddivisioni delle spese tra unità immobiliari e condominio?
- con quali criteri vengono ripartite le spese condominiali tra le unità immobiliari?
- è possibile applicare ai diversi interventi: ex casa rurale, ex stalla/fienile e condominio, diverse percentuali di detrazioni ripartite su 5 o 10 anni?
L’Agenzia delle Entrate ha fornito una risposta “cumulativa” ai soprastanti quesiti, così sintetizzabile.
Limite di spesa derivante da Sismabonus
A proposito del limite di spesa derivante da Sismabonus l’Agenzia delle Entrate ha spiegato che “secondo quanto specificato con circolare n. 7/E del 2018, pag. 230, esso va attribuito a ciascuna delle unità immobiliari componenti l’edificio, prima dell’intervento di ristrutturazione (cfr. circolare n. 121 dell’11 maggio 1998, paragrafo 3), ciò anche nel caso in cui l’unità immobiliare su cui si effettuano i lavori non sia ad uso abitativo (es. fienile)”.
Poi la stessa Agenzia ha aggiunto che “il limite massimo di spesa ammessa alla detrazione va riferito all’unità abitativa ed alle pertinenze, anche se accatastate separatamente (cfr. risoluzione n. 124 del 4 giugno 2007, risposta 3; risoluzione n. 181 del 29 aprile 2008), non avendo la pertinenza un autonomo limite di spesa (cfr. circolare n. 7/E del 2018, pag. 231)”.
Il testo dell’interpello non chiarisce come erano organizzati gli edifici che costituivano il complesso immobiliare. Se (ipotesi A), nello stato antecedente ai lavori, l’edificio residenziale risultava costituito da un’unica unità “principale” (quella residenziale), con pertinenze staccate da esso, allora il limite di spesa derivante da Sismabonus sarebbe stato unico, pari a 96.000euro iva compresa, onnicomprensivo per edificio principale e pertinenze.
Se invece (ipotesi B) l’edificio fosse stato costituito da una unità residenziale e da altri locali “attaccati”, ovvero facenti parte della medesima unità strutturale, non pertinenziali, allora il limite di spesa per le opere sulle parti comuni derivante da Sismabonus sarebbe stato pari a 96.000euro iva compresa per ogni unità immobiliare costituente l’edificio principale.
Ad esempio se l’edificio comprendeva abitazione e stalla, il massimale complessivo sarebbe stato pari a 192.000euro spendibili sulle parti comuni, da sommare ad altrettanti 192.000euro (ovvero a 96.000 euro per l’abitazione e 96.000 per la stalla), spendibili per le opere sulle parti esclusive delle due unità immobiliari e sulle relative pertinenze.
Ovviamente la detrazione fiscale spettante per gli interventi sulle parti comuni sarà quella ordinaria al 70 o al 80%, trattandosi di Sismabonus ordinario richiesto da una società.
Individuazione delle parti comuni
A proposito dell’individuazione delle parti comuni l’Amministrazione finanziaria ha precisato quanto segue: “le parti comuni dell’edificio vanno riferite, secondo quanto specificato con circolare n. 7/E del 2018, pag. 221 e segg., in senso oggettivo alle parti comuni a più unità immobiliari.
Ne discende che il contribuente istante ha diritto alla detrazione delle spese relative agli interventi realizzati sulle dette parti comuni con un autonomo limite di spesa”.
Ciò significa che la duplicazione del massimale (ovvero quello riferito alle parti comuni che si somma a quello riferito alle parti private) non richiede che l’edificio possieda caratteristiche di condominialità intesa in senso civilistico, in quanto le parti comuni “si generano” automaticamente nel caso via siano più unità immobiliari “unite” strutturalmente.
Soggetto responsabile delle spese e modalità di ripartizione
Nel caso dei piccoli condomini spesso le questioni economiche si risolvono “a parole” o con criteri di buon senso, soprattutto se i rapporti tra i proprietari sono buoni.
L’Agenzia delle Entrate, in questo interpello, ha messo i puntini sulle “i”, andando a specificare quanto segue: “ai fini della fruizione delle detrazioni per le parti comuni le spese ad esse attribuite dal tecnico incaricato della direzione dei lavori, e come tali fatturate e sostenute, sono da ripartire sulla base dei millesimi delle singole unità immobiliari iniziali”.
Quindi l’attribuzione delle spese al plafond comune deve essere effettuata sotto la responsabilità del direttore dei lavori: non possono deciderlo altri tecnici (ad esempio non può il progettista strutturale) e tantomeno possono farlo i proprietari.
Precisa infine che le spese devono essere ripartite “sulla base dei millesimi delle singole unità immobiliari iniziali” e non con criteri diversi, come potrebbe essere ad esempio la metratura delle varie unità immobiliari.