Superbonus: il condòmino dissenziente non può sottrarsi alla spesa
Una delibera assembleare validamente assunta impone anche a chi ha votato contro di pagare la sua parte. Ciò vale anche per quegli interventi che non interessano direttamente la proprietà privata o che, all’apparenza, non determinano benefici per il singolo.
Sono il proprietario di un deposito posto nel piano interrato di un condominio, un edificio con 5 proprietari, di cui 4 hanno un appartamento, e io, appunto, questo locale non riscaldato che uso come magazzino della mia attività.
Si è discusso in assemblea di realizzare un intervento di cappotto termico, usufruendo del Superbonus. Io mi sono subito chiamato fuori, perché siamo fuori tempo per lo sconto in fattura e non ho tutti questi soldi da anticipare a fronte di un risparmio fiscale che tra l’altro non mi spetta, visto che il mio magazzino non è riscaldato e il Superbonus si applica solo a immobili già riscaldati prima dei lavori.
Ho votato contro solo io e i lavori sono iniziati. Adesso mi è arrivata la nota di pagamento della mia parte, ma io ho già comunicato che non devo pagare alcunché perché l’opera non interessa il mio locale e se anche dovessi, la legge sul Superbonus dice che le delibere sono valide “a condizione che i condòmini ai quali sono imputate le spese esprimano parere favorevole”, cosa che non ho fatto.
Come posso fare valere le mie ragioni e oppormi a questa spesa?
L’esperto risponde: superbonus e condomini
L’assemblea dei condomini è il “luogo” in cui ogni membro della compagine può esprimere la propria volontà. Giuridicamente, però, ciò che risulta dall’assemblea è la manifestazione di una volontà collettiva, contenuta nelle delibere che siano valide, ovvero assunte secondo le maggioranze previste dal Codice Civile in base ai casi. Nella generalità delle situazioni, serve la maggioranza per decidere dell’esecuzione di lavori, ma tale misura è ridotta dal D.L. n. 34/2020 (Decreto Rilancio) quando si tratta di lavori Superbonus.
In generale, ogni opinione conta, ma quando l’assemblea prende una decisione nel rispetto della legge, chi ha votato contro non ha strumenti per far valere alcun diritto, poiché la volontà comune supera quella del singolo. Il gentile lettore si trova sicuramente in una situazione spiacevole, ma dalla lettura del quesito egli appare trovarsi in un contesto in cui l’assemblea si è mossa correttamente, con la conseguenza che egli può solo accettare di pagare quanto gli viene richiesto.
Le (comprensibili) lamentele derivano da alcuni fraintendimenti della normativa. Innanzitutto, sebbene sia vero che i locali non riscaldati non possano accedere al Superbonus, occorre ricordare che l’involucro esterno è ugualmente parte comune dell’edificio condominiale, sottoposto alle regole di cui all’art. 119, comma 9-bis, del Decreto Rilancio. Poi, il passo normativo citato dal lettore, a una lettura superficiale, sembra effettivamente richiedere che chi è chiamato a pagare per i lavori Superbonus debba esprimere il proprio consenso in assemblea, ma come vedremo, una lettura più accorta spiega che si tratta di un’eccezione ristrettissima, che non si applica al caso presentato.
Infine, il fatto che i lavori non riguardino direttamente il locale di proprietà del lettore, non significa che egli non debba contribuire per la sua parte a una spesa comune, che interessa l’edificio nel suo complesso, come confermato già nel 2021 da un’ordinanza della Cassazione, la n. 10371.
Le maggioranze previste per il Superbonus
A regolare come debba essere assunta validamente una delibera condominiale di approvazione di interventi agevolabili tramite Superbonus è l’art. 119, co. 9-bis. Questo, nel dettaglio, prevede che “le deliberazioni dell’assemblea del condominio aventi per oggetto l’approvazione degli interventi di cui al presente articolo e degli eventuali finanziamenti finalizzati agli stessi, nonché l’adesione all’opzione per la cessione o per lo sconto di cui all’articolo 121, sono valide se approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno un terzo del valore dell’edificio”.
In sintesi, dunque, bisogna fare riferimento all’art. 1136 C.C., che disciplina la costituzione dell’assemblea e validità delle deliberazioni. Il principio espresso da questa norma fa dipendere la validità delle deliberazioni all’approvazione di un numero di voti “che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio” (co. 2). Tuttavia, il D.L. 34/2020 applica una regola speciale in caso di Superbonus, che abbassa il quorum a un terzo. Di conseguenza, in teoria anche una minoranza in termini assoluti (34%) può imporre il proprio volere sull’intera compagine condominiale.
Nel caso presentato, risulta che i 4/5 del condominio si siano espressi positivamente per la realizzazione dei lavori, cosicché un voto contrario non può in alcun modo costituire un elemento a partire dal quale discenda lo sfuggire dall’obbligo di versare il corrispettivo.
Il caso dell’accollo delle spese solo in capo ad alcuni condòmini
Il già citato co. 9-bis dell’art. 119 del D.L. 34/2020, poi, procede prevedendo un caso molto specifico, nel quale effettivamente (come accenna nel quesito il gentile lettore) è eccezionalmente necessario che serva il consenso di chi dovrà provvedere alla spesa per ritenere la delibera valida.
Il secondo periodo della disposizione, cioè, dispone che “le deliberazioni dell’assemblea del condominio, aventi per oggetto l’imputazione a uno o più condomini dell’intera spesa riferita all’intervento deliberato, sono valide se approvate con le stesse modalità di cui al periodo precedente e a condizione che i condomini ai quali sono imputate le spese esprimano parere favorevole”. Il lettore, non essendo un tecnico, ha a torto ritenuto che tale norma lo potesse esentare dal pagamento, avendo egli espresso un voto negativo. Eppure, a ben analizzare la disposizione, si nota che questa regola il (remoto) caso in cui solo alcuni condòmini si facciano carico di tutte le spese per i lavori di efficientamento.
Purtroppo, non sembra che questo sia il caso in cui versa il lettore, ed essendo la spesa disposta in relazione a lavori da effettuare su una parte comune, egli dovrà contribuire, anche se la sua opinione rimane contraria all’intervento.
Anche i locali interrati fruiscono del cappotto
Un altro tema sollevato nel quesito riguarda l’asserita non inerenza dei lavori rispetto al locale di proprietà del condòmino dissenziente. Egli sostiene, tra le altre cose, che il cappotto termico non gioverà al proprio magazzino. Ciò probabilmente perché, essendo tale locale interrato, il cappotto sarà posto sulla superficie del palazzo senza intaccare direttamente la performance energetica del deposito.
Sull’argomento si è espressa la Cassazione con ordinanza n. 10371/2023. Nel caso trattato dalla Suprema Corte, due condòmini si opponevano al pagamento delle spese dovute per la realizzazione di un cappotto termico, proprio perché questo non avrebbe interessato le unità immobiliari di loro proprietà. Tuttavia, il giudice li condanna al pagamento. In particolare, si legge in motivazione, ciò dipende dal fatto che “in tema di condominio negli edifici, le opere, gli impianti o manufatti che, come il “cappotto termico” sovrapposto sui muri esterni dell’edificio, sono finalizzati alla coibentazione del fabbricato in funzione di protezione dagli agenti termici, vanno ricompresi tra quelli destinati al vantaggio comune e goduti dall’intera collettività condominiale, inclusi i proprietari dei locali terranei”.
Insomma, il cappotto, anche se non copre la muratura del locale di proprietà esclusiva del singolo condòmino perché interrato, non è una parte destinata al servizio dei condòmini in misura diversa, non escludendo alcuno di essi dal proprio godimento. “Ne consegue”, conclude la Cassazione, “che, ove la realizzazione del cappotto termico sia deliberata dall’assemblea, trova applicazione l’art. 1123, comma 1, c.c., per il quale le spese sono sostenute da tutti i condòmini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno”.