
Superbonus e lavori incompleti: risarcimenti più difficili, ecco cosa dicono le sentenze
La giurisprudenza stabilisce che non basta la perdita del beneficio fiscale per essere risarciti, occorre che il committente dimostri di aver subito conseguenze economiche.

Nei frequenti contenziosi legati alla perdita del Superbonus, emerge un principio giuridico importante: il committente che chiede il risarcimento per danni dovuti a lavori incompleti da parte di un’impresa deve dimostrare in modo preciso che il danno subito è stato causato dall’inadempimento dell’impresa stessa. Non basta lamentarsi della perdita del beneficio fiscale, ma occorre fornire prove concrete del “nesso causale” tra il comportamento dell’impresa e il danno economico.
La sentenza
Un esempio significativo arriva dal Tribunale di Pavia, che con la sentenza n. 340 del 17 marzo 2025, ha ribadito questo principio. Il giudice ha spiegato che il committente non solo deve provare l’inadempimento dell’impresa, ma anche dimostrare che tale inadempimento ha comportato una perdita economica legata alla possibilità di usufruire del Superbonus. In altre parole, non basta dire di aver perso l’agevolazione fiscale: occorre documentare in modo preciso la causa di tale perdita. Nel caso trattato, un committente aveva affidato a un’impresa lavori di ristrutturazione, tra cui il miglioramento energetico e la riduzione del rischio sismico. Nonostante l’impresa avesse ricevuto un acconto del 10%, i lavori non sono mai iniziati. Il committente, dopo vari solleciti, ha chiesto la risoluzione del contratto per inadempimento e il risarcimento per la perdita del Superbonus, considerando il danno subito come conseguenza del mancato completamento dei lavori. Tuttavia, il Tribunale ha rigettato la richiesta, poiché il committente non aveva fornito prove adeguate a dimostrare che la perdita del Superbonus fosse effettivamente causata dall’inadempimento dell’impresa. In particolare, non è stato dimostrato che il committente non fosse riuscito a trovare un’altra impresa per completare i lavori in tempo utile per usufruire dell’agevolazione fiscale. Inoltre, non era stato nemmeno provato che il committente fosse in possesso di tutti i requisiti necessari per beneficiare del Superbonus.
La dimostrazione del danno
Il giudice ha affermato che la mera scadenza del termine per accedere al Superbonus non comporta automaticamente un danno patrimoniale e che non basta lamentarsi della perdita del beneficio, ma occorre dimostrare un danno economico concreto. Il risarcimento può essere giustificato solo se il committente ha dovuto sostenere spese superiori rispetto a quelle previste inizialmente per completare i lavori con un’altra impresa. Inoltre, per calcolare il danno subito dal committente, il giudice ha precisato che non basta fare un confronto tra il Superbonus inizialmente previsto e quello che potrebbe essere ottenuto oggi con la legislazione attuale. Bisogna considerare i costi effettivi sostenuti per affidare i lavori a un’altra impresa e solo se il nuovo costo è superiore si può parlare di danno economico.
La documentazione
In definitiva, la giurisprudenza è ormai allineata nello stabilire che il risarcimento per i danni da Superbonus perso richiede prove concrete. Il committente deve documentare che l’inadempimento dell’impresa ha causato una perdita economica reale, quantificabile in base ai costi effettivamente sostenuti per completare i lavori. La sentenza di Pavia evidenzia anche una difficoltà comune nei contenziosi edilizi: la necessità di fornire una documentazione chiara e dettagliata del danno subito, basata su prova rigorose e ben fondate, meglio ancora se supportate da una perizia tecnica. Senza tale documentazione, infatti, le richieste di risarcimento possono essere respinte e il committente può rischiare addirittura di essere condannato al pagamento delle spese processuali.
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