Superbonus e irregolarità edilizie: occhio alle tolleranze costruttive
Una recente sentenza del Consiglio di Stato chiarisce che le tolleranze costruttive sono rigide e non possono essere riferite all’intero edificio. La pronuncia aiuta a comprendere quali conseguenze possono ipotizzarsi in relazione ai lavori di Superbonus.
In tema di Superbonus, tanto è stato detto e scritto sulla possibilità o meno di avvalersene in caso di presenza di abusi edilizi sull’immobile oggetto dei lavori. Le opinioni sono varie e contrastanti, ma la giurisprudenza sta formando un orientamento rigido, con il quale bisogna fare i conti.
In generale, però, non è dato sapere come nel concreto verranno effettuati i controlli e, soprattutto, come vengano interpretati i margini di tolleranza. Ciò vale tanto in relazione al “dilemma” del rapporto tra Superbonus e irregolarità edilizie, quanto in relazione alla definizione stessa di abuso edilizio. Il tema è infatti ampio e altamente specialistico, e in questo contesto si pone un’importante sentenza, la n. 2952 emanata lo scorso 28 marzo dal Consiglio di Stato, organo giurisdizionale di massimo grado in ambito amministrativo.
Infatti, è probabile che molti casi pratici finiscano proprio sotto l’attenzione del Consiglio di Stato, il cui orientamento, come emerge dalla recente sentenza, sembra essere decisamente rigido in tema di “tolleranze costruttive”. Tema che, tra l’altro, ha rilevanza anche in termini di eventuale decadenza dal Superbonus.
Le tolleranze costruttive
A stabilire quali siano le tolleranze costruttive nel rispetto delle quali non si configura alcuna irregolarità è il Testo Unico dell’Edilizia, vale a dire il d.P.R. n. 380/2001, al suo art. 34-bis. Tale articolo, nel dettaglio, è stato aggiunto al Testo Unico tramite il Decreto Legge n. 76/2020 (Decreto Semplificazioni), convertito con la Legge 120/2020.
L’art. 34-bis, in particolare, dispone che “il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo”. Le tolleranze costruttive rappresentano insomma una sorta di “franchigia”, fissata nel 2%, tra le misure previste nel titolo abilitativo e quelle effettivamente realizzate.
Come calcolare, in casi pratici, dette tolleranze non è però del tutto pacifico. Una scuola di pensiero ritiene che queste siano da rapportare alla superficie o alle dimensioni dell’intero edificio, mentre un’altra, più legata al tenore letterale della norma richiamata, le riferisce alle singole unità immobiliari.
È proprio quest’ultima interpretazione ad essere stata confermata dal Consiglio di Stato.
Le tolleranze sono “strette”
La vicenda trattata a fine marzo dal Consiglio di Stato riguarda un ordine di demolizione emesso dal Comune dopo aver rilevato alcune irregolarità edilizie. Il proprietario dell’immobile ha contestato tale ordine dinnanzi al Tar, asserendo che l’entità delle difformità era talmente lieve da ricadere sotto l’ombrello delle tolleranze costruttive garantite dalla legge. Il Tar, una volta incaricati i periti per i rilievi tecnici sul posto, rigettava l’opposizione, riscontrando invece degli scostamenti superiori a quelli consentiti.
Di conseguenza, il proprietario impugna la sentenza del Tar innanzi al Consiglio di Stato, affermando, in sintesi, che la decisione si era basata su un calcolo delle tolleranze condotto in maniera errata. Nel dettaglio, infatti, sebbene i singoli appartamenti presenti nell’edificio di sua proprietà risultassero difformi dai titoli edilizi in misura effettivamente superiore al 2% consentito, lo scostamento non supera tale soglia se lo si considera in relazione all’intera superficie dell’edificio.
Sul tema, tuttavia, il Consiglio di Stato ha scelto di dare ragione alla modalità di calcolo adottata dal Tar, rigettando l’impugnazione del proprietario. Infatti, come spiega l’organo nella sentenza n. 2952/2024, la norma contenuta all’art. 34-bis del TUE che fissa le tolleranze costruttive “deve essere intesa nel senso che la tolleranza di cantiere rilevante per escludere l’abusività dell’intervento va posta in relazione con la porzione di immobile cui esso accede, e non con la superficie dell’intero palazzo, come si evince dal dato letterale che fa appunto riferimento alle singole unità abitative”.
I riflessi sul Superbonus
Come anticipato in apertura, il tema delle opere edilizie irregolari è oggetto di grande dibattito in relazione al Superbonus. La formulazione della normativa che regola tale agevolazione ha infatti lasciato spazio ad interpretazioni più o meno restrittive, da chi ha ritenuto irrilevante la presenza di irregolarità edilizie rispetto alla legittima spettanza del bonus, a chi ha invece “elevato” a causa di decadenza dall’agevolazione la preesistenza di abusi edilizi rispetto all’inizio dei lavori.
Per quanto il Decreto Semplificazioni (DL 77/2021) abbia eliminato, per tutti gli interventi che beneficiano del Superbonus, la necessità di possedere l’attestazione dello stato legittimo dell’immobile, è pur sempre vero che resta impregiudicata ogni valutazione dell’amministrazione competente circa la legittimità dell’immobile oggetto di intervento. In questo senso, tra l’altro, si sta già muovendo la giurisprudenza, che seppure sia ancora poco matura sul tema dei bonus edilizi, ha già in alcune occasioni ammesso che il Comune ben può bloccare i cantieri Superbonus se l’immobile era affetto da irregolarità edilizie (Tar del Lazio, sentenza n. 18386 del 7 dicembre 2023). L’orientamento che si sta consolidando, in sintesi, vede come legittimamente spettante il Superbonus solo a condizione che intervenga una sanatoria edilizia prima dell’inizio dei lavori (Tar di Firenze, sentenza n. 306 del 18 marzo 2024). Sanatoria che, alla luce della sentenza del Consiglio di Stato illustrata, sarà necessaria anche in caso di piccole difformità, tali da superare di più del 2% quanto dichiarato in relazione a ogni singola unità immobiliare, e non all’intero edificio.
E non solo, perché l’art. 119, co. 13-ter del D.L. n. 34/2020 (Decreto Rilancio) individua tra le cause di decadenza del Superbonus il caso in cui gli interventi siano realizzati in difformità dalla Cilas. Ciò significa che se il titolo che abilita i lavori Superbonus (la Cilas) descrive opere diverse da quelle effettivamente realizzate, il bonus non spetta. Tale norma, letta alla luce della sentenza del Consiglio di Stato appena ripercorsa, porta a ritenere che anche nel valutare il discostamento tra le opere dichiarate e quelle realizzate bisogna interpretare la tolleranza del 2% in senso stretto, e non con riferimento alle “misure” dell’intero edificio.