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Superbonus e diffida per risoluzione contrattuale: occhio alle proroghe
Una recente sentenza del Tribunale di Milano evidenzia come le proroghe fiscali del Superbonus possano influenzare l’efficacia della diffida ad adempiere.
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Nel settore dell’edilizia agevolata, è stato più volte sottolineato quanto sia fondamentale rimanere costantemente aggiornati sulle modifiche normative. Questo ambito è infatti stato caratterizzato da una continua evoluzione, con numerosissimi interventi sia legislativi che amministrativi. La conoscenza approfondita di questa “rete” si è rivelata cruciale non solo nella fase di pianificazione ed esecuzione dei lavori, ma anche nella gestione di eventuali azioni legali.
Un esempio significativo di ciò si è recentemente avuto con la sentenza del Tribunale di Milano del 12 febbraio 2025, n. 1234, che ha trattato un caso relativo a un contratto di fornitura e posa in opera di un impianto fotovoltaico. In particolare, il Tribunale ha messo in discussione la legittimità di una diffida ad adempiere inviata dall’attore per chiedere la risoluzione del contratto. La decisione fornisce spunti rilevanti sul ruolo della diffida nell’ambito di contratti che beneficiano di agevolazioni fiscali, come il Superbonus, e sull’impatto delle proroghe dei termini previsti per usufruire di tali incentivi.
I fatti di causa e la richiesta dell’attore
L’attore aveva stipulato un contratto con la convenuta, una società specializzata nella fornitura di impianti fotovoltaici, per l’installazione di un impianto fotovoltaico comprensivo di sistemi accessori come pompa di calore, batterie di accumulo e stazione di ricarica per veicoli elettrici. L’importo complessivo dell’opera era di circa 51.500 euro, con il pagamento previsto tramite l’utilizzo delle “opzioni alternative” previste dal Superbonus 110%.
Secondo l’attore, l’intervento doveva essere completato entro giugno 2022, termine che rientrava nel periodo per usufruire dell’incentivo fiscale. L’attore aveva versato un deposito cauzionale di 400 euro e, a seguito di solleciti ripetuti, aveva inviato una diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c. alla convenuta il 16 novembre 2021, chiedendo la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno per la mancata esecuzione del contratto, pari al valore dell’impianto fotovoltaico.
La difesa della convenuta
La convenuta, costituitasi in giudizio, ha contestato l’esistenza di un inadempimento. La società ha infatti sostenuto che, sebbene i lavori non fossero ancora iniziati al novembre 2021, non vi fosse alcun motivo per considerare il contratto risolto. La convenuta ha rilevato che, quando l’attore aveva ricevuto la richiesta di sopralluogo (in data 10 luglio 2022), non aveva consentito l’accesso all’immobile, impedendo così l’avvio dei lavori.
Inoltre, la convenuta ha evidenziato che il termine per poter usufruire del Superbonus era stato nel frattempo prorogato dalla normativa del Decreto Aiuti (D.L. n. 50/2022), che ha spostato la scadenza per la realizzazione di almeno il 30% dell’opera al 30 settembre 2022, rendendo possibile completare i lavori in tempo utile per usufruire dell’incentivo.
L’analisi del Tribunale: la diffida non basta per risolvere il contratto
Il Tribunale ha esaminato la richiesta dell’attore di risolvere il contratto per inadempimento, prendendo in considerazione le modalità con cui era stata inviata la diffida ad adempiere. Secondo la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, l’invio di una diffida ad adempiere ai sensi dell’art. 1454 c.c. non comporta automaticamente la risoluzione del contratto. È necessario che la parte inadempiente abbia effettivamente violato le obbligazioni contrattuali in modo grave, tale da compromettere l’interesse dell’altra parte all’esecuzione del contratto.
Nel caso di specie, il Tribunale ha escluso che il ritardo da parte della convenuta, all’interno del termine utile per completare i lavori (prorogato al 30 settembre 2022), configurasse un inadempimento grave. Nonostante la diffida fosse stata inviata il 16 novembre 2021, il Tribunale ha ritenuto che i lavori potessero essere ancora completati entro i termini previsti per l’ottenimento del Superbonus. Il comportamento della convenuta, che aveva successivamente richiesto un sopralluogo (anche se questo era stato negato dall’attore), non aveva manifestato un intento di non adempiere, bensì intendeva avviare i lavori in ritardo ma in un periodo ancora utile per usufruire del Superbonus.
Pertanto, il Tribunale ha escluso che la diffida inviata dall’attore fosse legittima ai fini della risoluzione del contratto, poiché non si trattava di un inadempimento che pregiudicasse l’utilità economica dell’opera, considerato che il Superbonus era ancora fruibile per effetto della proroga.
L’impatto delle proroghe sul Superbonus
Un aspetto cruciale della sentenza riguarda proprio l’incidenza delle proroghe legate al Superbonus 110%. Il legislatore ha prorogato più volte i termini per l’utilizzo delle agevolazioni fiscali, ed è stato questo uno degli elementi che ha determinato la decisione del Tribunale.
Infatti, il Tribunale ha sottolineato che, nonostante l’invio della diffida, il termine di giugno 2022 non fosse più l’unico riferimento temporale per la realizzazione dell’opera. Con l’introduzione del Decreto Aiuti (D.L. 50/2022), il termine per completare almeno il 30% dell’opera al fine di usufruire del Superbonus era stato spostato al 30 settembre 2022. In tal modo, la convenuta aveva ancora ampi margini di tempo per adempiere alle proprie obbligazioni contrattuali e garantire il beneficio fiscale all’attore. La proroga, quindi, ha avuto un ruolo determinante nell’escludere la possibilità di considerare l’inadempimento come grave.
La mancanza di prova del danno
Infine, il Tribunale ha rilevato che l’attore non avesse fornito adeguata prova del danno subito. Sebbene l’attore avesse richiesto il risarcimento per il danno subito a causa della mancata realizzazione dell’impianto fotovoltaico, non è stato dimostrato che, dopo la scadenza del termine fissato con la diffida, l’attore si fosse attivato per affidare l’opera a un altro fornitore, né che avesse effettivamente sostenuto costi per realizzare l’impianto da un’altra parte. Di conseguenza, la domanda di risarcimento danni è stata rigettata, in quanto il danno economico non è stato adeguatamente provato.
La sentenza in commento ribadisce quindi due concetti fondamentali. In primo luogo, la diffida non è sempre uno strumento sufficiente per risolvere un contratto d’appalto, soprattutto quando i termini per l’esecuzione dell’opera non sono ancora scaduti e la parte obbligata si mostri comunque disposta ad adempiere. In secondo luogo, un contenzioso legato agli incentivi fiscali non può essere preso in considerazione senza tenere conto delle proroghe legislative che hanno allungato i tempi per la realizzazione degli interventi edilizi. In tale contesto, un ritardo nell’esecuzione non giustifica automaticamente la risoluzione del contratto e la richiesta di risarcimento danni, soprattutto quando non vi sono prove sufficienti del danno subito dal committente.