Superbonus e costruttore inadempiente: l’inutilizzabilità dell’immobile è risarcibile
Il proprietario che, a causa di lavori in ritardo o mal realizzati, non possa godere del proprio immobile, può ottenere il risarcimento sia per non averne potuto fruire, sia per non averlo potuto vendere/affittare. Purché sia fornita la prova.
Il rapporto che intercorre tra il committente delle opere e l’appaltatore che deve realizzarle può subire gravi intoppi. Ritardi nell’esecuzione degli interventi o lavori realizzati scorrettamente, ad esempio, possono portare a pesanti contestazioni da parte del proprietario dell’immobile, che possono arrivare nelle aule di giustizia.
E quando di mezzo c’è il Superbonus, o qualche altro bonus edilizio, le cose si complicano.
Si pensi al caso in cui, vuoi per ragioni di liquidità vuoi per altri motivi, le imprese incaricate di realizzare gli interventi di efficientamento energetico o miglioramento sismico che possono accedere al Superbonus hanno abbandonato il cantiere. Il committente, così, non solo resta con le opere a metà (magari già pagate) ma rischia di perdere la possibilità di beneficiare del Superbonus, soprattutto se ci si trova a ridosso delle date superate le quali la sua aliquota scende.
È chiaro che, in simili casi, il proprietario subisce un danno, consistente proprio nell’aver perso la possibilità di fruire della maxi-detrazione. Su tale danno da “perdita di chance” è stato detto e scritto molto, nel tentativo di delineare l’orientamento della giurisprudenza che sta maturando. Un elemento certo è che per avere qualche probabilità di risarcimento, tale danno deve essere accuratamente provato da chi lo lamenta.
Meno spesso, invece, si ragiona sugli altri tipi di danno che possono derivare dal comportamento dell’appaltatore e che, insieme a quelli relativi alla perdita di una detrazione, possono aiutare nella tutela dei propri diritti. Lavori a metà, ad esempio, o anche mal compiuti, possono mettere il proprietario nella spiacevole situazione di non poter fruire del proprio immobile, né per rispondere ai propri bisogni abitativi o commerciali (nel caso il committente sia un’impresa), né per godere dei suoi possibili frutti tramite la vendita o la locazione. Si tratta di una vera e propria limitazione del suo diritto di proprietà, che può portare, con alcuni accorgimenti, a vedersi risarcito il danno da inutilizzabilità dell’immobile, che ha la doppia natura di danno emergente e di mancato guadagno.
Danno emergente
Una delle due possibili configurazioni del danno da inutilizzabilità dell’immobile, come anticipato, è l’impossibilità del proprietario di utilizzare direttamente il bene, vivendoci o comunque svolgendovi le attività a cui è preposto. Come chiarito dalla Corte di Cassazione (Sezioni Unite, sentenza n. 33645/2022), in relazione a questo specifico tipo di lesione, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno è la concreta possibilità, andata perduta, di esercizio del diritto di godimento diretto.
Tuttavia, per quanto in linea di principio sia corretto affermare che l’indisponibilità del bene per fatto altrui costituisce un danno di per sé, perché priva l’avente diritto della facoltà di disporre del proprio bene (sentenza n. 3428/2019 del Consiglio di Stato), la menzionata pronuncia delle Sezioni Unite ha sottolineato che “il proprietario è tenuto ad allegare, quanto al danno emergente, la concreta possibilità di godimento perduta”.
In parole povere, cioè, non basta chiedere il risarcimento provando che l’immobile non è più godibile, ma servirà provare altresì in che modo l’indisponibilità provoca un danno. Una pronuncia ancor più recente (Cassazione, ordinanza n. 10583 del 18 aprile 2024) è tornata infatti sul punto, specificando che “il godimento diretto, la cui perdita sia suscettibile di risarcimento, va identificato nella facoltà del titolare di fruirne direttamente e di ritrarne le utilità congruenti alla destinazione del bene quali ricavabili dalla sua intrinseca struttura o da altri univoci e riconoscibili elementi”, che devono essere puntualmente allegati dal danneggiato.
Mancato guadagno
Il secondo tipo di conseguenza pregiudizievole che può derivare dal fatto che il comportamento dell’appaltatore ha reso non utilizzabile l’immobile, è rappresentato dalla mancata possibilità di vendere o mettere in locazione il proprio bene, o di venderlo/locarlo al prezzo (più conveniente) precedentemente configurabile. Tale particolare tipo di danno (comunemente detto “mancato guadagno” o “lucro cessante”) va però provato con ancor più accortezza di quello poc’anzi richiamato, relativo al danno emergente, anche se la sua quantificazione, piuttosto ardua, può essere rimessa, a certe condizioni, alla valutazione del giudice.
Infatti, la già menzionata sentenza n. 33645/2022 delle Sezioni Unite, ha chiarito come “il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito, rappresentato dall’impossibilità di concedere il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o di venderlo ad un prezzo più conveniente di quello di mercato”, evidenziando che, di conseguenza, detto “specifico pregiudizio subito” vada compiutamente allegato dal proprietario.
In particolare, proseguono le Sezioni Unite, se il danno da mancato guadagno di cui il proprietario chiede il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso può essere “liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato”, ma ciò comunque non prescinde da un’allegazione precisa degli elementi costitutivi del danno e della loro connessione causale con il comportamento dell’impresa.