Print Friendly, PDF & Email

Nella complessità delle pratiche per accedere ai bonus edilizi, il corretto inquadramento dell’edificio e delle unità che lo compongono è forse l’elemento più delicato. Da questo, infatti, dipende l’importo della detrazione spettante, considerato che il tetto di spesa massima agevolabile si calcola in base al numero di unità immobiliari presenti nell’edificio.

L’inquadramento dell’edificio e il limite di spesa

Il tema è di particolare rilievo quando a dover essere oggetto di lavori sono condomìni o edifici plurifamiliari, evidentemente composti da numerose unità, che molto spesso comprendono locali pertinenziali. Box, cantine e posti auto (per fare alcuni esempi) non mancano quasi mai in questo tipo di complessi, e quando in gioco ci sono i bonus edilizi il loro numero è dirimente: più sono le unità presenti, pertinenze comprese, più alto sarà il plafond. E più alto, dunque, sarà il valore della detrazione.

È chiaro, allora, che i committenti hanno avuto in questi anni tutto l’interesse a mettere in atto, prima di eseguire i lavori agevolabili, alcune variazioni per far sì che il numero delle unità aumentasse, facendo lievitare il plafond. E così, non è stato affatto raro che edifici prima composti da un certo numero di unità subissero dei frazionamenti, così da “separare” alcune parti dell’immobile, poi considerate come pertinenze.

Non c’è niente di male, e la stessa Agenzia delle Entrate lo consente (Circolare n. 23/2022), soprattutto se il frazionamento non è solo “catastale”, ma corrisponde a un reale mutamento dell’assetto immobiliare, magari raggiunto tramite l’esecuzione di appositi interventi edilizi.

Tuttavia, la nozione di “pertinenza” può rappresentare una pericolosa pietra d’inciampo, poiché i suoi presupposti, secondo la giurisprudenza, vanno verificati in concreto. L’Agenzia delle Entrate, cioè, può leggere la costituzione pre-lavori di una pertinenza come un campanello d’allarme, e scegliere di entrare nel merito, mettendo in discussione la corretta spettanza del bonus eventualmente fruito.

In questo caso, soprattutto, sarà il proprietario a dover dimostrare la reale esistenza del vincolo pertinenziale.

La nozione di pertinenza

L’art. 817 cc. stabilisce che “sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa”. Si comprende quindi che la destinazione a pertinenza deve essere caratterizzata dal requisito della durevolezza, intesa nel senso che, pur non essendo necessarie la perpetuità e la permanenza, il rapporto pertinenziale tra la res accessoria e quella principale non può essere né occasionale né temporaneo.

Per poter essere inteso come pertinenziale, il vincolo tra il bene immobile principale e quello secondario deve contemporaneamente essere caratterizzato dai seguenti due presupposti:

  • Un obiettivo carattere di strumentalità funzionale rispetto al bene principale per un migliore uso di quest’ultimo (presupposto oggettivo);
  • L’avvenuta manifestazione della volontà del proprietario della cosa principale diretta a porre la pertinenza in un rapporto di asservimento (presupposto soggettivo).

Il quadro è complesso

Ebbene, dalla definizione di “pertinenza” appena illustrata, la questione parrebbe semplice. Basta che il proprietario “voglia” costituire il vincolo e che il bene accessorio sia durevolmente strumentale al principale perché non vi siano dubbi sull’avvenuta costituzione, e quindi, nel caso dei bonus edilizi, sulla correttezza della “conta” delle unità e del plafond agevolabile. In realtà, non è così semplice. Innanzitutto perché, come si dirà, non esiste un “luogo” specifico in cui reperire l’elemento della volontà. I documenti deputati sarebbero gli atti notarili di acquisto degli immobili (dovendo giustificare la tassazione applicata) ma non sempre sono chiari sul punto o di facile lettura.

In più, i requisiti richiamati sono stati spesso approfonditi dalla giurisprudenza, che ne ha offerto un quadro più complesso e decisamente meno pacifico.

In tema di accertamento del vincolo pertinenziale, ad esempio, la Corte di Cassazione ha chiarito che debba di volta in volta essere verificata nei fatti la consistenza di “un’oggettiva e funzionale modificazione dello stato dei luoghi che sterilizzi in concreto e stabilmente lo ius edificandi e che non si risolva, quindi, in un mero collegamento materiale, rimovibile ad libitum” (sentenza n. 1301/2019).

Tradotto in parole più semplici, la durevolezza della destinazione pertinenziale del bene si evince proprio dal fatto che il bene non è suscettibile di possedere una diversa destinazione senza una radicale trasformazione.

Il frazionamento non basta

Emerge chiaramente, allora, come “giustificare” la costituzione di un vincolo pertinenziale non sia affatto una passeggiata. Al proposito, la stessa sentenza menzionata specifica che anche se i dati catastali corrispondono “sulla carta” alla presenza di una pertinenza, ciò non basta. Nelle parole della Cassazione, cioè, “risultano irrilevanti le risultanze catastali […] in quanto la circostanza che in catasto l’immobile pertinenziale sia frazionato rispetto a quello principale, costituisce un dato esclusivamente formale, e non osta a che possa essere dimostrata la pertinenzialità ai sensi dell’art. 817 cc. mediante i requisiti oggettivo e soggettivo predetti”.

Nel caso di specie risolto da questa pronuncia, ad esempio, nonostante la volontà di destinazione pertinenziale dei beni fosse esplicita, e per quanto le unità risultassero separate e dotate di ingressi indipendenti, queste avevano mantenuto, per la presenza di alcuni specifici vani interni, una vocazione di tipo abitativo. Sarebbe stato facile, dunque, convertirle proprio alla destinazione abitativa, senza effettuare alcuna radicale trasformazione.

La prova grava sul proprietario

Chiarita la necessità di un riscontro dei due requisiti pertinenziali (oggettivo e soggettivo) nel concreto dei singoli casi, ecco che il Fisco ben può “allarmarsi” di fronte a un frazionamento che avviene a ridosso di lavori agevolabili con bonus edilizi. Innanzitutto perché, come si è spesso detto, potrebbe configurarsi un abuso del diritto, contestando che la variazione dell’assetto dell’immobile ha avuto il solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale indebito.

Ma prima di arrivare a questo punto, più semplicemente l’Agenzia potrebbe contestare la natura stessa della pertinenza, e in questo caso la palla passerebbe al proprietario.

La sentenza prima menzionata (e non solo, si veda anche, tra le altre, la sentenza di Cassazione n. 24432/2017) espressamente afferma che “la prova dell’asservimento pertinenziale grava sul contribuente quando ne derivi una tassazione attenuata”. E tale prova, tra l’altro, “deve essere valutata con maggior rigore rispetto alla prova richiesta nei rapporti di tipo privatistico”.

Di conseguenza, è cruciale effettuare una ricognizione accurata della sussistenza dei reali requisiti che attestano (in concreto) la pertinenzialità. Tali verifiche, dato che l’onere della prova grava sul contribuente, sono da mettere in atto il prima possibile. La strada più sicura sarebbe quella di effettuarle prima dell’inizio dei lavori agevolabili, per essere sicuri di definire il plafond correttamente. Se ciò non è stato fatto, anche una verifica ex post può essere utile a “prepararsi”, comprendendo la propria situazione prima che giunga un vero e proprio accertamento.

Il contenzioso è dietro l’angolo

Insomma, l’aver costituito artificiosamente una o più pertinenze o l’aver considerato tali alcuni locali accessori senza adeguate “motivazioni”, può portare l’Agenzia a chiedere dei chiarimenti. E, sulla base di quanto illustrato fin qui, l’accertamento avverrà in concreto e con una rigida valutazione delle prove.

Nella sentenza del 2019 prima richiamata, ad esempio, viene specificato che “se la scelta pertinenziale non è giustificata da reali esigenze, non può avere valenza tributaria, perché avrebbe l’unica funzione di attenuare il prelievo fiscale”. Ma quali sono queste reali esigenze?

Su tutti questi aspetti vi sarà un grande spazio di “discussione” nel caso in cui si riceva una contestazione sulla corretta spettanza dei bonus edilizi da parte dell’AdE.