Superbonus 110%: e se la ditta monta il ponteggio e se ne va?
“Buongiorno ingegnere, scusi il disturbo. L’impresa che abbiamo nominato per fare il Superbonus non ha ancora iniziato i lavori. Come dobbiamo comportarci?”
Forse questa è la domanda più frequente che ricevo da qualche mese a questa parte. E il motivo non c’è neanche bisogno di spiegarlo: tempus fugit.
Le scadenze, tasselli inderogabili del Superbonus
In edilizia i limiti temporali dei lavori sono sempre stati segnati da confini piuttosto sfumati, tra cause di forza maggiore, circostanze imprevedibili e termini supplettivi per l’ultimazione delle opere. Con il Superbonus è diverso. Il legislatore non ha previsto possibilità di deroghe alle scadenze e chi le sfora è tagliato fuori dalla maxi agevolazione, con possibili ripercussioni anche sulla regolarità dei lavori svolti, se legittimati solo mediante un titolo derivante da CILA-Superbonus.
Oggi le scadenze, salvo ulteriori proroghe, sono le seguenti:
- per i condomini e gli edifici plurifamiliari con unico proprietario (2-4 u.i.) il 110% vale fino al 31 dicembre 2023; chi termina i lavori nel 2024 ha diritto a una agevolazione del 70% e chi passa al 2025 del 65%;
- per le persone fisiche è invece prevista una proroga al 31 dicembre 2022 ma a patto che al 30 giugno 2022 sia completato il 30% dell’intervento;
- per gli IACP e per le cooperative di abitazione a proprietà indivisa, resta la proroga al 31 dicembre 2023 ma a patto che al 30 giugno 2023 sia completato il 60% dell’intervento.
È chiaro che, con questo calendario, se i lavori non procedono spediti o se non partono in fretta, qualunque ristrutturazione rischia di saltare o di dover essere pagata a suon di quattrini dal proprietario.
Le cause dei ritardi
Alla radice di un ritardo di solito ci sono inadempimenti contrattuali. Le cause possono essere le più varie, così come i soggetti che ne sono responsabili.
Può trattarsi di un tecnico che si è impegnato a fare i progetti e che poi, per un motivo o per un altro, non li ha fatti o non li ha presentati agli uffici.
Oppure può trattarsi di un fornitore che ha mancato la consegna di un materiale.
Oppure ancora di un subappaltatore che non si è presentato.
Ma la situazione più frequente è quella dell’appaltatore che, per sovraccarico di lavoro o per disorganizzazione, apre il cantiere, pianta un chiodo e poi va via con la promessa di tornare. Quando non si sa.
In era pre-bonus, per quanto l’evento fosse più raro, si trattava di una fattispecie gestibile facilmente, non essendoci quasi mai scadenze inderogabili. Pertanto in condizioni normali si poteva provare ad aspettare, magari applicando qualche penale… Del resto arrivare al compimento dei lavori è interesse di tutti.
Ora invece sui tempi, così come sugli importi e sull’efficacia degli interventi, non si può più scherzare. Ad esempio il proprietario di un edificio unifamiliare che non realizza, entro il 30 giugno, il 30% dei lavori complessivi e non paga il relativo importo, è facile che si ritrovi a detrarre, anziché il 110%, solo il 50%, ne abbiamo già parlato qui. E attenzione a fare i conti troppo precisi sulle date, perché il 30 giugno è la data in cui deve essere effettuato inderogabilmente il pagamento, ma prima di poterlo fare gli interventi devono essere contabilizzati e controllati dal direttore dei lavori che, nel caso del Sismabonus, deve anche emettere il relativo SAL, a cui segue la fattura dell’impresa. Non sempre sono cose che si fanno in pochi giorni.
Come tutelarsi
Di fronte al rischio di una impresa che va lunga sui tempi, soprattutto se non vengono fornite adeguate garanzie sul piano finanziario, il committente ha solo un’arma, il contratto di appalto che, nel caso del Superbonus, deve regolamentare attentamente i termini di consegna dei lavori, totali e parziali.
In tal senso può essere opportuno inserire nel contratto una cosiddetta “clausola risolutiva espressa”, ai sensi dell’articolo 1456 del Codice civile; in questo modo, al verificarsi di uno o più degli inadempimenti dell’appaltatore come previsti in contratto, il committente potrà decidere di attivare tale clausola inviando alla controparte la sua dichiarazione di volersene valere, a mezzo raccomandata a/r o a mezzo pec, nelle modalità pattuite, con la conseguenza che il contratto si intenderà risolto di diritto. Ciò senza che risulti necessaria la pronuncia della risoluzione da parte di un Giudice e senza dover attendere le tempistiche della diffida e messa in mora. In questa ipotesi la pattuizione preventiva intercorsa tra le parti si sostituisce al controllo del giudice in ordine alla gravità dell’inadempimento.
Il committente potrà tutelarsi ulteriormente indicando nel contratto di appalto quali prestazioni dovranno intendersi da effettuare entro un termine ben definito nel tempo e ritenuto dalle parti espressamente “essenziale”, ai sensi dell’articolo 1457 del Codice civile; in mancanza della prestazione entro il termine fissato (ad esempio esecuzione del 30% dei lavori entro il 30 giugno 2022), il contratto si intenderà risolto di diritto e anche in tale caso non sarà necessaria la risoluzione per via giudiziale, risparmiando così mesi preziosi ed evitando l’alea del giudizio, con i rischi che ne derivano.
È chiaro che, anche laddove non fosse previsto in contratto il suddetto termine “essenziale”, o non fosse stata inserita una “clausola risolutiva espressa” (o più di una), resta al committente la tutela generale prevista dall’articolo 1454 del Codice civile per la quale potrà intimare per iscritto all’appaltatore di adempiere alle sue obbligazioni entro un dato termine preavvisandolo che, in caso contrario, il contratto si intenderà risolto. Laddove l’adempimento non intervenga entro tale termine, che non potrà comunque essere inferiore a quindici giorni salvo casi particolari, il contratto si intenderà anche in questo caso “risolto di diritto”.
Ovviamente l’appaltatore potrà sempre valutare di agire in giudizio nei confronti del committente per far valere le proprie ragioni, laddove ritenga di averne, ad esempio per non essere stato inadempiente rispetto a quanto previsto dalla clausola risolutiva espressa inserita in contratto ai sensi dell’articolo 1456 del Codice civile, ovvero di aver adempiuto entro il termine essenziale fissato in contratto ai sensi dell’articolo 1457 del Codice civile, oppure di aver adempiuto entro il termine che gli era stato fissato con l’intimazione inviata ai sensi dell’articolo 1454 del Codice civile, tenendo a mente che in questo ultimo caso avrà maggiori spazi per le proprie contestazioni, ulteriore elemento per propendere sempre verso la redazione di un contratto di appalto con clausole chiare ed esplicite. In tal senso può essere utile che il testo del contratto venga redatto a 4 mani, non solo da un legale, ma anche da un professionista tecnico (dal direttore lavori o da un consulente specializzato), che conosce meglio le dinamiche del cantiere.
Nella pratica quotidiana è difficile che l’appaltatore rinunci alla possibilità di agire in giudizio nei confronti del committente qualora gli venga contestato un inadempimento, con il fine di rovesciare il quadro delle responsabilità e anche per cercare di allontanare il rischio di una richiesta di risarcimento dei danni che il suo inadempimento può aver causato. È chiaro tuttavia che laddove siano state circostanziate in modo adeguato nel contratto di appalto le clausole di risoluzione e laddove, tanto più, la contestazione venga accompagnata da una perizia giurata che attesti la situazione sul piano tecnico, l’impresa sarà meno propensa ad opporsi alla risoluzione, poiché aumenterebbe il rischio di incorrere in una sentenza che la condanni, oltre che alla rifusione delle spese legali sostenute dal committente per la propria difesa, anche al risarcimento dei danni in suo favore per aver agito in giudizio con mala fede o colpa grave.
E una volta risolto il contratto?
È vero, risolvere il contratto può significare rimanere a piedi del tutto. Oppure può consentire di aprire una nuova partita, nel senso che oggi, forse, non è più impossibile trovare sul mercato operatori disponibili a fare i lavori, perché l’ingolfamento di richieste di qualche mese fa sembra essere entrato in fase calante. Basta osservare infatti i report pubblicati da ENEA e confrontare il numero di asseverazioni presentate nell’ultimo bimestre del 2021 con il numero di quelle presentate nel primo bimestre del 2022:
- Edifici unifamiliari, 20.575 asseverazioni nell’ultimo bimestre 2021 contro 14.214 asseverazioni nel primo bimestre 2022 (fonte report ENEA), diminuzione del 31%
- Condomini, 5.974 asseverazioni nell’ultimo bimestre 2021 contro 4.720 asseverazioni nel primo bimestre 2022 (fonte report ENEA), diminuzione del 21%
- Edifici composti da 2 a 4 unità immobiliari, 11.503 asseverazioni nell’ultimo bimestre 2021 contro 7.896 asseverazioni nel primo bimestre 2022 (fonte report ENEA), diminuzione del 31,4%.
Indipendentemente dai dati e dalla speranza di trovare una nuova ditta, l’unica alternativa alla risoluzione del contratto, se l’impresa non risponde ai solleciti, è l’avvio di una procedura giudiziale per chiedere una sentenza che condanni l’impresa ad adempiere alla propria obbligazione, procedura nella quale si può chiedere al contempo che il giudice stabilisca la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Ma i tempi della giustizia non sempre coincidono con le esigenze del contribuente, nemmeno ricorrendo ai procedimenti che vengono definiti d’urgenza, che richiedono comunque vari mesi di istruttoria.