LA MODIFICA DI UNA TRAMEZZATURA INTERNA PUÒ CAUSARE DANNI AGLI ALTRI APPARTAMENTI?
Se si tratta di pareti “non portanti”, ovvero se sono pareti sottili e se sono realizzate con mattoni “a una testa” si potrebbe pensare che possono essere demolite senza problemi e senza ripercussioni su niente e su nessuno.
E invece, soprattutto negli edifici datati, anche le pareti di tramezzatura possono dare una mano alle strutture, fungendo da “rompitratta” per le travi del solaio soprastante.
La loro demolizione, quindi, può determinare squilibri anche importanti e deve essere sempre eseguita sotto il controllo di un tecnico abilitato.
Le pareti di tramezzatura
Le pareti di tramezzatura, lo sappiamo tutti, sono quelle che suddividono gli ambienti interni e si distinguono dai “muri maestri” fondamentalmente per il loro spessore, di solito variabile da 10 a 15 cm, chiunque le può riconoscere.
Negli edifici moderni, quelli realizzati dal secondo dopoguerra in avanti, sono realizzate con mattoni “forati”, mentre in quelli più vecchi sono in mattoni pieni a una testa, molto più resistenti dei primi.
Ma quando si tratta di demolire una parete, magari nell’ambito di un intervento di semplice manutenzione finalizzato a creare una diversa distribuzione degli ambienti interni, l’attenzione non deve esser rivolta solo alle pareti, bensì anche ai solai che stanno sopra, soprattutto se sono lunghi e flessibili e ancor più se sono in legno.
Un caso pratico: danni per cedimento del solaio soprastante
Un condòmino presentava una CILA per opere di manutenzione consistenti nella demolizione di una parete interna e nella ricostruzione due metri più in là per aumentare le dimensioni del soggiorno.
Il tecnico incaricato procedeva al sopralluogo e specificava nella relazione tecnica allegata al titolo edilizio che si sarebbe proceduto alla “demolizione di un tramezzo in edificio risalente agli anni ’70 con struttura in muratura e solai in laterocemento”. Veniva nominata una ditta che, in breve tempo, eseguiva l’intervento di demolizione e ricostruzione della parete, ripristinando anche le finiture.
Dopo circa un mese dall’ultimazione dei lavori l’inquilino del piano superiore lamentava “in alcune stanze il pavimento suona vuoto e alcune piastrelle si sono rotte”.
Le cause del problema
Le successive verifiche tecniche hanno messo in luce che l’edificio in oggetto presentava solai realizzati con travetti precompressi lunghi 5.50 m e spessore strutturale di appena 20 cm, come era d’uso fare all’epoca di costruzione.
Al piano superiore, all’interno dell’appartamento danneggiato, erano stati rifatti i pavimenti alcuni anni prima, con contestuale aumento di peso dovuto all’aggiunta di un massetto impiantistico di spessore 9 cm, non previsto in fase di costruzione.
In conseguenza di questo sovraccarico il solaio si era piegato, andandosi ad adagiare sulle paretine sottostanti che, pur essendo dei semplici tramezzi, riuscivano a sostenerlo senza problemi, fungendo quindi non solo da divisori, ma anche da “puntelli” per il solaio.
La demolizione aveva determinato una lenta inflessione del solaio (in gergo si dice “una freccia”) dell’ordine dei 3-4 mm, impercettibili ad occhio nudo ma sufficienti per rompere i pavimenti soprastanti.
Sufficienti anche per far nascere un contenzioso, che fortunatamente si è risolto fuori dalle aule di giustizia, avendo appurato che la “colpa” non era da attribuire al tramezzo incriminato.
Errore tecnico o imprevisto imprevedibile?
Il professionista aveva presentato la CILA nel pieno rispetto della normativa che, per la demolizione di un tramezzo, non richiede particolari accertamenti di natura strutturale. L’impresa aveva rispettato per filo e per segno il progetto… Ma anche il committente aveva tutto il diritto di ingrandire il proprio soggiorno.
Quindi di chi è la colpa?
Dal punto di vista tecnico la responsabilità dei fatti deve essere attribuita al proprietario dell’appartamento posto al piano superiore e non, come si potrebbe pensare, a quello che ha eseguito i lavori di demolizione della paretina.
Ciò perché gli accertamenti avevano messo in luce la realizzazione del nuovo massetto con conseguente aumento dei carichi sul solaio, opere che avrebbero richiesto una verifica strutturale con tanto di sondaggi e progetti depositati in comune. E del resto questa circostanza nessuno poteva metterla in dubbio, poiché le altezze interne dei locali, indicate nei documenti catastali in 2.90 m, risultavano pari a 2.81 m.
Dettagli tecnici che, se non fossero stati rilevati per tempo, avrebbero probabilmente indotto il proprietario del piano di sopra a fare causa a quello di sotto, avventurandosi in un giudizio dispendioso e dall’esito tutt’altro che scontato.