La delibera di esecuzione del cappotto può “costringere” i singoli condomini ad aggiornare le planimetrie catastali dei loro appartamenti
Se emergono difformità nelle parti comuni occorre “sanare” anche le singole unità immobiliari
Immaginiamo un intervento di ristrutturazione delle facciate di un palazzo. Potrebbe trattarsi della semplice realizzazione di un cappotto termico sul lato esterno delle pareti. Ipotizziamo che il tecnico incaricato, particolarmente meticoloso, prima di presentare il titolo edilizio, effettui il rilievo geometrico dei prospetti, riscontrando una serie di difformità (ad esempio) nella posizione e nella geometria delle aperture.
Non è un caso raro quando si interviene negli edifici datati. Basta uno scostamento superiore al 2% (2 centimetri ogni metro) rispetto alle misure indicate nei progetti che rappresentano lo stato legittimo per rendere necessaria una pratica edilizia “in sanatoria”.
Nel caso dell’esempio, trattandosi di un intervento su una parte comune (il cappotto in facciata) sarà il condominio che dovrà provvedere a sanare le difformità riscontrate.
È evidente tuttavia che la sanatoria (CILA o SCIA a seconda dei casi) dovrà concludersi con l’aggiornamento catastale anche delle unità immobiliari alle quali le finestre dell’esempio si riferiscono. Certamente il problema non si pone se si tratta di pochi centimetri, poiché le planimetrie catastali sono in scala in 1:200 e piccole differenze sono difficili da apprezzare, ma se invece si tratta di qualcosa in più occorre intervenire in modo scrupoloso.
Occorre quindi coinvolgere i singoli proprietari interessati, non solo per avere le loro firme, ma anche per dividere equamente i costi della procedura.
Se il fatto non è noto fin dall’origine, ovvero fin da quando l’assemblea decide sul cappotto, le cose possono prendere una brutta piega, poiché non è detto che gli ignari condòmini siano d’accordo.
Quando è necessario sanare le difformità
Ogni qual volta si presenta una pratica edilizia è necessario che il tecnico incaricato attesti lo stato legittimo dell’immobile. Per farlo deve rilevare tutte le parti interessate dall’intervento e confrontare il rilievo con i disegni allegati all’ultimo progetto autorizzato dal comune.
Se le due rappresentazioni differiscono, superando la tolleranza del 2%, lo stato legittimo non può essere dichiarato e quindi occorre presentare una sanatoria.
L’unico caso in cui ciò, in teoria, non sarebbe necessario, è rappresentato dai lavori che beneficiano del Superbonus. Si tratta però di una deroga fittizia, sulla quale si può fare affidamento solo nel caso in cui si è sicuri che tutti i lavori possono beneficiare del Superbonus. Ma non solo.
È fittizia anche perché la presenza di difformità edilizie rende difficile la cessione del credito, in quanto le banche (e i general contractor) chiedono al professionista di attestare la conformità dell’immobile, sia delle parti comuni sia di quelle in proprietà esclusiva.
Si comprende quindi che, in presenza di irregolarità, la sanatoria è quasi sempre inevitabile.
Perché è necessaria la variazione catastale delle singole unità
Quando il tecnico incaricato dal condominio effettua la “chiusura” della pratica di sanatoria deve inevitabilmente attestare anche la conformità catastale dell’immobile.
È per questo che ciascun sub interessato dalle difformità (ovvero, nel caso dell’esempio, ogni appartamento al quale afferisce una delle finestre fuori posto), dovrà essere oggetto di una variazione catastale che, seppur piccola, richiede l’assenso del singolo proprietario.
Nel caso ipotizzato detta variazione dovrà riguardare il riposizionamento delle finestre (caso semplice) e quindi non avrà ripercussioni sulla rendita catastale.
Diviene tutto più complesso se, durante le verifiche e i rilievi di dettaglio, emergono difformità anche interne alle singole unità immobiliari, ad esempio per la presenza di pareti di tramezzatura fuori posto.
In tal caso non sarà più sufficiente il titolo di sanatoria richiesto dal condominio per sistemare le parti comuni ma servirà una pratica di sanatoria specifica per la singola unità, con ulteriore aggravio di costi.
Chi deve pagare
Non è facile stabilire a chi siano da addebitare i costi di una pratica di sanatoria che nasce per esigenze condominiali e che finisce per coinvolgere, indirettamente, anche le parti private. Non è nemmeno facile immaginare come potrebbe essere gestito il caso in cui il proprietario della singola unità immobiliare non concedesse il proprio assenso per l’aggiornamento catastale della propria unità immobiliare bloccando, di fatto, l’intero procedimento.
Probabilmente, se l’assemblea non era stata informata, vi sarebbero i presupposti per chiedere la nullità della delibera che autorizzava l’intervento principale, stante l’omessa esplicitazione delle ripercussioni sul piano privatistico dell’intervento condominiale.
Per quanto concerne i costi, a parere dello scrivente, quelli inerenti alla sanatoria edilizia (con relative sanzioni) dovrebbero essere sostenuti dal condominio, cioè divisi in quote millesimali, poiché volti a regolarizzare parti comuni.
Diverso per quelli inerenti all’aggiornamento delle singole planimetrie catastali. Vero che il tutto nasce per un’esigenza “comune” (nell’esempio la realizzazione del cappotto in facciata), ma è anche vero che la mancanza di legittimità della singola unità immobiliare pregiudica la commercializzazione della stessa o addirittura pregiudica la validità dell’atto di compravendita col quale il “proprietario” ne è venuto in possesso.
Si ritiene pertanto che i costi relativi agli aggiornamenti catastali (onorario del professionista e diritti degli uffici) siano da addebitare ai singoli proprietari delle unità immobiliari interessate.