Il sismabonus riduce il rischio sismico, ma non solo
La legge di bilancio 2022 ha prorogato i termini per accedere al Superbonus 110%. La dead line è ora spostata al 31 dicembre 2023 per i condomini e gli edifici plurifamiliari composti da 2 a 4 unità immobiliari oggetto di ristrutturazioni edilizie.
Due anni pieni, che consentiranno di pianificare nuovi lavori, anche quelli più impegnativi, e di terminare quelli in corso.
Il Superbonus, ormai non c’è persona che non l’abbia capito, comprende due “filoni” di intervento. Il primo è quello “green”, il cosiddetto ecobonus, riguardante gli interventi finalizzati a ridurre le dispersioni termiche (ad esempio il classico cappotto) e ad efficientare gli impianti (ad esempio la sostituzione della caldaia e dei radiatori).
Il secondo è quello “strong”, conosciuto con il nome di Sismabonus e regolamentato dal decreto legge n. 63/2013, nel quale possono essere ricomprese tutte le opere edilizie effettuate sulle parti comuni con l’obiettivo di aumentare la sicurezza strutturale.
Nonostante la super incentivazione fiscale vigente ormai da due anni e nonostante la possibilità di azzerare le spese cedendo il credito a terzi come previsto dall’art. 121 del DM34/2020, gli interventi sulle strutture incontrano ancora qualche resistenza nell’ambito delle assemblee condominiali poiché sono associati all’idea, corretta o non corretta, di opere invasive, di muratori in casa, di disagi e quant’altro.
Idea non corretta. O meglio non sempre corretta.
Con il Sismabonus si riduce il rischio sismico, ma non solo
Il dato certo è che il Sismabonus presuppone opere che riducano il rischio sismico. Questa riduzione deve essere attestata da professionisti abilitati (di solito ingegneri o architetti) che, in conformità al DM58/2017, svolgono specifiche valutazioni della struttura nello stato “ante” – cioè prima dei lavori – e nello stato “post” – ovvero dopo l’esecuzione degli interventi edilizi – per dimostrare che il progetto e le opere conseguenti abbiano determinato un concreto miglioramento del livello di sicurezza.
Ma non sempre per ridurre il rischio c’è bisogno di spaccare tutto. Tantomeno è necessario rendere inagibili le unità immobiliari. Dipende, ogni caso deve essere valutato singolarmente.
Se questa è la paura l’amministratore di condominio può chiedere al progettista strutturale di valutare prioritariamente la possibilità di agire con interventi “microinvasivi”, da effettuare nelle parti “periferiche” dell’edificio, che riducano al minimo i disagi per gli abitanti.
Fino a qualche anno fa per effettuare opere di rinforzo strutturale era necessario realizzare contropareti, contrafforti, oppure introdurre travi “rompitratta”, fino a sostituire piccole o grandi parti dell’edificio. Dall’esterno si poteva fare ben poco.
Oggi non è più così, esistono molteplici tecnologie che, in taluni casi, permettono di intervenire “chirurgicamente” solo dove serve e con ottimi risultati.
Tali tecnologie sono state esplicitamente riconosciute dalla Commissione di Monitoraggio sul Sismabonus istituita presso il Consiglio Superiore dei lavori pubblici, che le ha descritte ed elencate in un apposito parere (il num.3/2021), specificando che il loro uso è “certamente ammissibile” purché ne consegua una effettiva riduzione del rischio sismico.
Anche le Norme Tecniche per le Costruzioni (DM17/01/2018) al par. 8.4.1, ammettono interventi su porzioni limitate di struttura. Sono le cosiddette “riparazioni o interventi locali”, tra le quali rientrano ad esempio:
interventi sulle coperture, e più in generale sui solai, o su loro porzioni finalizzati all’aumento della capacità portante
interventi finalizzati alla riparazione-integrazione-sostituzione di elementi della copertura
interventi di riparazione e ripristino della resistenza originaria di elementi strutturali.
E se ne potrebbero elencare molti altri.
Un esempio concreto
Ipotizziamo una palazzina a tre o quattro piani realizzata negli anni ’70 con tipiche pareti in muratura, solai in laterocemento, soffitta non abitabile e copertura a falde.
In un caso di questo tipo, eseguendo le dovute verifiche preliminari, potrebbe essere possibile effettuare – operando solo dall’esterno – un intervento locale di rinforzo delle fondazioni e delle pareti (o dei pilastri) mediante fasciature in fibre di carbonio.
Inoltre potrebbe essere sostituita la copertura “pesante” in laterocemento (tipica dell’epoca costruttiva) con una struttura più leggera, magari in legno, previa introduzione di un cordolo in acciaio.
Tali interventi porterebbero un duplice vantaggio al condominio. Da un lato sarebbe possibile conseguire un miglioramento delle condizioni di sicurezza nei confronti di possibili azioni sismiche.
Dall’altro potrebbero essere rinnovate anche le parti dell’edificio indirettamente interessate dalle opere antisismiche.
Infatti in ambito di Superbonus (anche in versione “sisma”) vale il cosiddetto “principio assorbente”, ovvero se le opere di categoria superiore (nell’esempio l’intervento principale è il rifacimento della struttura del tetto) richiedono la demolizione di elementi secondari (nell’esempio le tegole, l’impermeabilizzazione e le grondaie preesistenti), è possibile far rientrare nei massimali anche il rifacimento di questi, rinnovando così – a costo quasi zero – tutta una serie di materiali e di elementi usurati dal tempo.