Cessione superbonus e bonus edilizi: la buona fede non basta
Una recente sentenza ha confermato il sequestro preventivo dei crediti in capo al cessionario, a prescindere dalla sua responsabilità in termini di reato. Valutarne la qualità a monte assume così un valore cruciale.
Tra gli argomenti più discussi in tema di Superbonus vi è quello inerente alla cessione dei relativi crediti d’imposta. Prima dell’emanazione del D.L. n. 11/2023 (c.d. “blocca cessioni”) la stragrande maggioranza dei soggetti che commissionavano lavori di efficientamento energetico o sismico procedeva poi a “girare” i crediti al 110% ad altri soggetti, potendo così monetizzarli subito. Il tema è rimasto caldo anche dopo il DL 11/2023, sia perché in alcuni casi la cessione è ancora possibile, sia perché il decreto si applica a partire dal 17 febbraio 2023, e dunque il Superbonus maturato su spese sostenute in data anteriore rimane cedibile.
Cessione del credito e irregolarità
Gli sforzi degli addetti ai lavori (esperti tanto di edilizia quanto di fiscalità) si sono concentrati soprattutto sul comprendere cosa ne sarebbe stato di un credito ceduto, ove fossero emerse irregolarità nella pratica edilizia sottostante. Chi riceve il credito (cessionario) non è infatti il primo beneficiario del Superbonus, e non ha niente a che fare con il cantiere in cui sono stati eseguiti gli interventi che danno diritto al beneficio. Cionondimeno, se il credito non è maturato legittimamente in capo al cedente, anche il cessionario è esposto a rischi. Il caso più eclatante è quello delle truffe, quei casi in cui ad esempio i lavori non sono mai stati eseguiti, e il credito è così il risultato di una finzione, punita dal Codice Penale. La normativa Superbonus (D.L. n. 34/2020, art. 121, co. 4) fa salvo il cessionario che si trovi nella disponibilità di un credito illegale da alcuna responsabilità in tal senso e il già citato D.L. n. 11/2023 ha poi regolato più nel dettaglio la situazione, prevedendo la totale irresponsabilità del cessionario che sia in possesso di un lungo set documentale. Insomma, chi acquista un credito in buona fede, ignaro delle irregolarità che ne stanno a monte, non si macchia di alcun reato.
Ciò non significa, però, che l’acquisto dei crediti possa avvenire con leggerezza, perché la Corte di Cassazione, con sentenza n. 3108 del 24 gennaio 2024, ha spiegato che chi ha in mano un credito illegale può subirne il sequestro a prescindere dalla propria responsabilità nel reato.
Il sequestro non dipende dalla responsabilità
La sentenza citata è una delle prime ad addentrarsi nel tema del sequestro di crediti Superbonus illegali in capo al terzo cessionario. La centralità della pronuncia risiede nel fatto di riuscire a chiarire, con solide basi giuridiche, che la questione relativa alla responsabilità nei reati di illecita percezione di agevolazioni di chi riceve il credito tramite cessione è slegata da quella inerente alla necessità di rispettare le norme procedurali penali, che impongono il sequestro preventivo in casi specifici.
Il caso riguarda un istituto bancario al quale sono stati sequestrati crediti Supebonus per circa 27 mln di euro. Erano stati infatti contestati a vari soggetti (diversi dalla banca) i reati di truffa e autoriciclaggio, per via della mancata esecuzione di opere edilizie ammesse al bonus, tramite false asseverazioni e fatturazioni. Secondo la banca, però, il pericolo di eseguire ulteriori operazioni illecite (necessario per poter sequestrare beni) poteva riferirsi solo agli indagati e non a sé stessa, “in mancanza di specifica motivazione sul pericolo derivante dalla disponibilità dei crediti ceduti, specie in considerazione di quanto disposto dall’art. 121, dl 34/2020 che limitava la responsabilità del soggetto cessionario alle ipotesi di utilizzo irregolare del credito o di concorso nella violazione”.
In effetti, il citato art. 121, al suo co. 4, prevede che i cessionari rispondono solo per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito ricevuto. Eppure, spiega la Suprema Corte, tali disposizioni “non introducono una disciplina derogatoria a quella ordinaria penale con riferimento al sequestro preventivo. Il vincolo impeditivo, infatti, implica soltanto l’esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa, non tra il reato e il suo autore”.
In sostanza, la Cassazione non accoglie il ricorso della banca, e conferma la correttezza del sequestro. Infatti, i crediti illegali acquisiti da un terzo “costituiscono cose pertinenti al reato, senza che rilevi la condizione soggettiva di detti terzi, in conformità alle norme processualpenalistiche”.
La decisione rigetta così del tutto la tesi difensiva, secondo la quale una volta esercitata la cessione del credito, questo sorgerebbe in capo al cessionario a titolo originario, depurato da ogni irregolarità. Se tale tesi fosse corretta, aggiunge la Cassazione, “si intenderebbe il credito ceduto come sempre garantito dallo Stato a tutela del cessionario, anche di fronte ad un assoluto difetto di presupposti”, risultando dunque essere “all’evidenza infondata”.
Escludere la responsabilità solidale non basta
Alla luce della sentenza illustrata, è evidente che mettere in atto tutta la cautela e la prudenza imposta dalla legge per “salvarsi” dalla responsabilità solidale con il cedente non è sufficiente quando si valuta l’opportunità di acquistare un credito d’imposta. O meglio, basta per evitare di essere considerati complici di un reato, ma espone comunque al rischio di vedersi sottratto il bene, cosa che rende l’operazione di acquisto (complessa e costosa) fallimentare, poiché il credito acquistato viene congelato.
Nel caso trattato dalla Cassazione, non è dato sapere se la cessione sia avvenuta in vigenza del DL 11/2023, ma è ragionevole ritenere che anche avendolo rispettato al millimetro, ciò non basti per coprirsi le spalle da un eventuale sequestro.
Nel dettaglio, il suo art. 1, lett. b), ha aggiunto il co. 6-bis all’art. 121 del DL 34/2020, escludendo la “responsabilità in solido” del cessionario per concorso nelle violazioni (fatti salvi dolo o colpa grave), almeno quando egli è in possesso di una serie di documenti relativi alle opere.
Ma seguendo il ragionamento della Cassazione, il sequestro è slegato dalla responsabilità, e così l’unico vero modo per salvarsene del tutto è mettere in atto dei controlli accuratissimi sulla regolarità delle pratiche edilizie (e dei lavori) che hanno generato il credito d’imposta che si intende acquistare, poiché possedere anche tutta la documentazione richiesta dal DL 11/2023 (titolo abilitativo, fatture, visto di conformità, contratto d’appalto, ecc) scongiura il rischio di essere indagati, ma non quello di vedersi sequestrate le somme.
L’importanza di una verifica a monte
Un soggetto che voglia acquistare crediti fiscali da terzi, dovrà allora rivolgersi a un professionista per valutare, come prima cosa, l’effettiva presenza dei crediti nel cassetto fiscale del cedente, e per comprendere la natura dell’intervento da cui originano. Se i lavori non sono noti, ad esempio perché si è avuta notizia dell’esistenza del credito tramite le piattaforme di interscambio presenti sul web, il cessionario potrà raffinare la valutazione rivolgendosi a un tecnico, che potrà entrare nel merito della documentazione verificandone la correttezza e la completezza. Laddove emergano aspetti “dubbi”, il tecnico potrà documentarli in una perizia.
Chiaramente, più la situazione retrostante è complessa e più è incerta la correttezza di tutte le pratiche adottate, più alto sarà il rischio di acquistare un credito astrattamente “sequestrabile”. In generale, adottando un certo grado di “lungimiranza” di settore, il tecnico potrà anche evidenziare se i lavori che hanno generato il credito rischiano o meno di incorrere in possibili contestazioni da parte del Fisco, rendendo il credito sottostante di qualità inferiore.
Dalla qualità del credito, è evidente, dipenderà il prezzo da contrattare.