Cessione crediti edilizi e responsabilità solidale: come tutelarsi
Il cedente non è tenuto a fornire tutta la documentazione elencata nel D.L. n. 11/2023, ma in assenza l’acquisto dei crediti è rischioso.
È degli ultimi giorni la notizia che Poste italiane ha “riaperto” il servizio di acquisto dei crediti fiscali derivanti da bonus edilizi. Una buona nuova, che offrirà una boccata di ossigeno al mercato delle costruzioni e in particolare a coloro che, a vario titolo, hanno maturato dei crediti fiscali e intendono monetizzarli.
La soluzione è però solo parziale, poiché, stando alle notizie riportate sul web, il servizio riprenderà ad essere operativo a ottobre e sarà destinato solo a soggetti privati, per un importo dei crediti non superiore a 50 mila euro.
Circolano pertanto numerose offerte di vendita di crediti fiscali rivolte a soggetti diversi dagli istituti di credito, ovvero a coloro (persone fisiche e imprese) che hanno imposte da versare e intendono ridurne l’entità portando in compensazione crediti acquistati a un prezzo inferiore al loro valore nominale.
I crediti non sono tutti uguali
Il valore “di scambio” di un credito fiscale dipende inevitabilmente da diversi fattori. In base al numero di anni in cui è possibile detrarlo dalle imposte dovute, infatti, il prezzo può essere più alto o più basso, ma anche la “qualità” del procedimento edilizio che sta alle spalle del bonus fiscale che ha generato detto credito incide grandemente sull’importo a cui può essere venduto, e sta poi all’acquirente adottare, anche con l’aiuto di un professionista di fiducia, criteri congrui (finanziari e tecnici) per valutare la convenienza e la ragionevolezza del prezzo che gli viene proposto.
Ad esempio, il fatto che un credito sia riferito a un 1° SAL, a lavori in corso, rende il suo acquisto un’operazione più rischiosa rispetto a quella che ha ad oggetto un credito a fine lavori, perché se gli interventi non vengono terminati il primo beneficiario perde il diritto alla detrazione, e l’acquirente potrebbe trovarsi di fronte a una situazione problematica. In questo caso, infatti, è vero che il rischio principale ricade sul committente che ha ceduto il credito, ma ad oggi nessuno può dire quanto e come possa incidere una causa di decadenza sul terzo cessionario. Di sicuro un fattore di questo tipo si ripercuote sul valore del credito.
La responsabilità solidale del cessionario
Cosa accade, dunque, se si acquisisce un credito fiscale che successivamente risulti affetto da irregolarità, magari perché non spettante o perché l’iter edilizio che lo ha generato non ha rispettato obblighi disposti a pena di decadenza dai bonus? A fare salvo il cessionario, in determinati casi, da qualsiasi conseguenza è il DL 11/2023, il cui art. 1, lett. b) ha aggiunto il co. 6-bis all’art. 121 del DL 34/2020, escludendone la “responsabilità in solido” per concorso nelle violazioni (fatti salvi dolo o colpa grave), almeno quando egli è in possesso di una serie di documenti relativi alle opere.
E non solo, perché chi ha acquistato crediti fiscali è salvo da responsabilità in solido con il cedente anche se non riesce a reperire ogni singola “carta” elencata, considerato che lo stesso DL 11/2023 ha aggiunto anche il co. 6-quater alla disposizione sopra citata, prevedendo che “il mancato possesso di parte della documentazione di cui al comma 6-bis non costituisce, da solo, causa di responsabilità solidale per dolo o colpa grave del cessionario, il quale può fornire con ogni mezzo prova della propria diligenza o della non gravità della negligenza”.
La documentazione che evita la responsabilità solidale del cessionario
Il testo del DL 11/2023 specifica quali sono i documenti che il cessionario deve acquisire e conservare per evitare che, in caso di controlli e di irregolarità tecnico/fiscali nei lavori, possa incorrere in responsabilità solidale con il cedente, subendo anch’egli le procedure di recupero e l’applicazione di sanzioni. Si tratta, tra gli altri, dei seguenti documenti:
- titolo abilitativo (ad es. CILAS)
- notifica preliminare dell’avvio dei lavori alla Asl
- visura catastale storica dell’immobile
- fatture comprovanti le spese sostenute
- mail di ricevuta ENEA dell’asseverazione per il Superbonus 110%
- dichiarazione visto di conformità
- contratto di appalto regolare, con indicazione del CCNL applicato se obbligatoria.
Il contratto di acquisto dei crediti deve essere preciso
La compravendita di crediti fiscali tra soggetti privati è regolata da accordi che intercorrono tra cedente e cessionario sulla base di un apposito contratto che, alla luce di quanto sino a qui illustrato, non può permettersi di essere generico. Questo, infatti, deve contenere da un lato l’impegno del cessionario a pagare con determinate modalità e tempistiche, e dall’altro l’obbligo in capo al cedente di fornire al cessionario tutta la documentazione che quest’ultimo ritiene necessaria.
Come minimo, infatti, chi acquisisce il credito dovrà chiedere il set documentale elencato dal DL 11/2023 e pretenderne una versione completa: ad esempio, la Cilas deve essere comprensiva di tutti gli allegati. E ancora, sarà necessario farsi consegnare la documentazione che confermi l’applicazione del CCNL, nei casi in cui obbligatoria per legge.
Il CCNL
Per le opere di valore complessivo superiore ai 70 mila euro, infatti, l’art. 1, co. 43 bis della legge 234/2021, impone l’obbligo di indicare nell’atto con il quale si affidano i lavori all’impresa esecutrice il contratto collettivo applicato dalla stessa. Nel caso la disposizione non venisse rispettata, la conseguenza sarebbe la perdita di una serie di bonus edilizi (tra i quali Superbonus, Sismabonus, Ecobonus, Bonus Mobili e Bonus Verde).
Tale necessità di specificare il CCNL riguarda altresì le fatture inerenti agli interventi, così che risulta fondamentale per il cessionario verificare che l’obbligo descritto sia stato rispettato, controllando appunto sia il contratto d’appalto che le fatture.
Tuttavia, nel caso in cui le fatture (e solo queste) non riportino il CCNL, il cessionario potrà comunque acquisire i crediti, verificando però un ulteriore elemento. Infatti, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito con la Circolare 19/2022 (e con la più recente Circolare 17/2023), che qualora nelle fatture non risulti il CCNL, basterà un’autocertificazione circa l’applicazione del CCNL fornita dall’impresa esecutrice al committente, sempre che l’indicazione del contratto collettivo sia presente nell’atto di affidamento.
Nel dettaglio, la Circolare 19/2022 ha chiarito che “qualora, per errore, in una fattura non sia stato indicato il contratto collettivo applicato, il contribuente, in sede di richiesta del visto di conformità, deve essere in possesso di una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, rilasciata dall’impresa, con la quale quest’ultima attesti il contratto collettivo utilizzato nell’esecuzione dei lavori edili relativi alla fattura medesima”.
Insomma, è consigliabile che l’acquirente del credito, se si accorge che il CCNL è indicato nell’appalto, ma non nelle fatture, chieda al cedente se ha acquisito, a suo tempo, l’autodichiarazione che gli ha evitato la decadenza dal bonus, facendosela consegnare. Se l’indicazione del CCNL è assente invece nell’appalto, è chiaro che ci si trova di fronte a un credito fiscale derivante da un bonus edilizio non spettante, in quanto l’omissione del contratto collettivo nelle fatture “non comporta il mancato riconoscimento dei benefici fiscali, purché tale indicazione sia presente nell’atto di affidamento”.