Entro il 31 dicembre 2025 l’Italia dovrà inviare alla Commissione Europea la sua proposta di piano nazionale contenente la tabella di marcia delle politiche di attuazione della Direttiva Case Green (Ue 2024/1275). Lo dispone il suo art. 3, fissando una data che coincide con quella in cui il Superbonus cesserà di essere in vigore. L’intero impianto dei bonus edilizi è allora da ripensare, perché la Direttiva impone che il rifacimento degli edifici avvenga con adeguati finanziamenti in grado di tutelare chi non disponga della liquidità necessaria. Come saranno finanziati gli interventi, però, è un mistero, e il dubbio aumenta alla luce della “eredità” lasciata dal Superbonus.

La Direttiva e la ristrutturazione degli edifici pubblici e privati

L’art. 3 della Direttiva prevede che ogni Stato membro debba stabilire un piano nazionale per garantire la ristrutturazione degli edifici residenziali e non residenziali, pubblici e privati, al fine di ottenere un parco immobiliare decarbonizzato e ad alta efficienza energetica entro il 2050. Ogni Stato dovrà inviare la sua proposta entro il 31 dicembre 2025, e al suo interno dovrà essere indicata «una panoramica del fabbisogno d’investimenti per l’attuazione del piano […], delle fonti e delle misure di finanziamento, delle risorse amministrative».

La Direttiva Case Green, infatti, non fissa solo obiettivi di efficientamento energetico e scadenze entro le quali raggiungerli, ma accende i fari anche sulla sostenibilità dei costi che i cittadini dovranno sopportare per rispettare le nuove prescrizioni.

Non solo l’art. 3 della Direttiva: i bonus una possibile soluzione

È l’art. 17, infatti, a imporre agli Stati di prevedere misure di sostegno, citando anche la possibilità di introdurle come detrazioni fiscali. Ma soprattutto, la Direttiva richiede che tali finanziamenti siano ben mirati, che siano cioè «destinati in via prioritaria alle famiglie vulnerabili». Tale figura delle «famiglie vulnerabili» è meglio definita dall’art. 2, che le descrive come quelle «prive dei mezzi per ristrutturare l’edificio che occupano».

Quella dei bonus edilizi può allora rappresentare una buona strada, almeno quando viene consentita la modalità di fruizione alternativa della cessione del credito d’imposta o dello sconto in fattura, che come ci ha insegnato il Superbonus permettono a chi realizza i lavori di pagare costi inferiori, senza bisogno di anticiparli per poi attendere di detrarli in dichiarazione dei redditi.

Le scadenze di Ecobonus e Sismabonus si avvicinano

Eppure, sconto e cessione sono stati sempre più limitati dal legislatore (da ultimo con il dl 39/2024), e molte delle detrazioni esistenti stanno per uscire di scena. Innanzitutto il Superbonus, che scade proprio il giorno in cui l’Italia dovrà rendere conto all’Ue del piano di rifacimento del parco immobiliare. Ma già il 31 dicembre 2024 scadranno sia l’Ecobonus (dl 63/2013, art. 14) che il Sismabonus (dl 63/2013, art. 16) lasciando imprese e società senza bonus edilizi, dato che queste ultime non possono accedere per legge al Superbonus. Tali misure potrebbero essere prorogate, ma una simile scelta non sembra plausibile, date le criticità che sono sorte nel tempo, soprattutto in relazione agli effetti macroeconomici del Superbonus sulle finanze pubbliche e al problema dell’ingestibile circolazione dei crediti d’imposta tramite cessione.

La Direttiva: rivoluzionaria per il sistema fiscale

Nonostante ciò, rispettare la nuova Direttiva significa anche predisporre le già menzionate misure di sostegno per le famiglie vulnerabili, cosicché è difficile immaginare che i finanziamenti non passino per il sistema fiscale, rivoluzionandolo del tutto. Ciò perché, ad esempio, l’art. 7 della Direttiva riguarda le nuove costruzioni, ulteriore elemento su cui bisognerà lavorare, trattandosi di un terreno inesplorato: i bonus edilizi che conosciamo, infatti, sono stati sempre dedicati alle ristrutturazioni di edifici già esistenti.