Bonus edilizi: quali tutele ha il committente se il General Contractor lascia i lavori a metà
L’impresa potrebbe essere costretta a portare a termine le opere, ma molto dipende dalla qualificazione del rapporto come appalto o mandato.
L’avvento del Superbonus ha comportato non poche novità. Una di queste è la diffusione anche in caso di lavori privati della figura del General Contractor, prima conosciuta solo per gli appalti pubblici.
Le pratiche che riguardano i bonus edilizi, infatti, sono complesse, spaziando da verifiche preliminari, asseverazioni ed esecuzione dei lavori fino alla cessione dei crediti fiscali.
Per questo, potrebbe essere utile affidare a un’impresa che operi in qualità di GC il compito di curare la loro intricata gestione.
L’Agenzia delle Entrate si è espressa sui profili fiscali del costo dei servizi prestati dal GC, ma sul fronte contrattuale è più difficile orientarsi nel caso in cui l’impresa non adempia in maniera soddisfacente ai suoi compiti, lasciando a metà i lavori o eseguendoli malamente.
Come può, quindi, un committente (un condominio, un proprietario di un immobile, etc.) tutelarsi di fronte a questo tipo di problema? Il caso, tra l’altro, è ben lontano dall’essere solo ipotetico, considerato che il “blocco” della cessione dei crediti legati ai bonus edilizi ha reso purtroppo ricorrente tale tipo di situazione.
L’inquadramento contrattuale
Non è semplice rintracciare quali tutele possa mettere in pratica, ad esempio, un condominio che ha “appaltato” a un GC lavori poi rivelatisi difettosi dal punto di vista costruttivo o che siano stati sospesi, nonostante si fosse impegnato ad eseguirli in modo e tempi certi, definiti in un capitolato.
Farlo significa innanzitutto comprendere se il rapporto tra il committente e il GC abbia i caratteri di un contratto d’appalto o di mandato.
Le differenze tra appalto e mandato
Se, infatti, con il contratto d’appalto il committente affida dietro versamento di un corrispettivo in denaro all’altra parte (appaltatore) la realizzazione di un’opera o di un servizio che quest’ultimo eseguirà organizzando e gestendo i mezzi necessari (artt. 1655-1677 c.c.), molto diverso è il mandato (art. 1703 c.c.) Con questo, il mandante obbliga il mandatario, altra parte contraente, a compiere uno o più atti giuridici solo per suo conto (c.d. mandato senza rappresentanza, art. 1705 c.c.) o anche in suo nome (c.d. mandato con rappresentanza, art. 1704 c.c.).
Come tutelarsi?
È evidente che se il GC abbandona il cantiere o esegue opere difettose, la sua responsabilità e le conseguenti difese possibili contro di lui dipendono dalla forma dell’accordo. Attenzione, ad esempio, al caso in cui ci si avvalga di un GC che si occupa di attività “immateriali”, come quelle di natura progettuale, perché il contratto potrebbe essere qualificato come mandato e non come appalto.
Le tutele più ampie possibili, infatti, riguardano l’appalto, nel qual caso l’appaltatore deve garantire che il risultato venga raggiunto così come pattuito nel progetto, rispondendo per i vizi e le difformità dell’opera.
Diversamente, in caso di mandato gli obblighi sono meno stringenti, e il mandatario è tenuto unicamente a portare a termine il suo servizio con la diligenza del buon padre di famiglia.
Quali rimedi?
Tutto il capo VII del libro IV del c.c. è dedicato all’appalto e al tema dei vizi dei risultati.
Se una volta ricevuta l’opera dall’appaltatore e pagato il prezzo il committente scopra vizi o difformità rispetto al progetto, avrà 60 giorni di tempo dalla loro scoperta per denunciarli e chiedere l’eliminazione del vizio a spese dell’appaltatore o la diminuzione del prezzo.
Se al GC è affidata il “pacchetto” bonus edilizi in appalto, poi, il condominio potrà sempre chiedere il risarcimento del danno e la risoluzione del contratto per i lavori fatti male (artt. 1667, 1668 c.c.).
O ancora, in caso di “rovina e difetti di cose immobili”, il GC-appaltatore ne risponde per 10 anni dopo il compimento dell’opera (art. 1669 c.c.).
Venendo al mandato, invece, i rimedi sono meno, essendo stabilito solo che il mandatario operi con un ragionevole grado di diligenza. In ogni caso, il mandatario può sempre revocare il mandato ed estinguerlo, e in presenza di una “giusta causa” non sarà tenuto a versare alcun risarcimento.
Cosa fare in caso di mancanza di liquidità per crediti “incagliati”
I contraenti possono inserire tanto nell’appalto quanto nel mandato clausole risolutive e/o prevedere che al verificarsi o meno di eventi specifici, il vincolo venga meno. L’impossibile liquidazione del credito legato ai bonus, ad esempio, può essere un evento cui condizionare il rapporto tra le parti.
E se manca una clausola simile, c’è ancora qualche carta da giocare per il condominio che incappa in un GC che lasci i lavori incompiuti e voglia chiudere il rapporto. Se in appalto, ad esempio, il committente può recedere anche a opera iniziata, a condizione di tenere indenne l’altra parte dalle spese sostenute (art. 1671 c.c.).
Come anticipato, poi, anche il mandato può estinguersi senza che siano specificate clausole, e il condominio dovrà risarcire i danni al GC solo se era prevista l’irrevocabilità del mandato stesso e manchi una giusta causa (artt. 1722 e 1723 c.c.).
La giusta causa, nel nostro caso, potrebbe essere proprio l’impossibilità di monetizzare il credito.
Ma attenzione, perché la stessa assenza di liquidità può essere considerata una giusta causa di rinunzia per il GC (art. 1727), a seguito della quale il committente potrebbe solo agire in giudizio a tutela dei propri diritti.
Si conferma più “sicura”, dunque, la forma dell’appalto, perché in caso di crediti incagliati il GC sarà comunque tenuto a portare a termine l’opera.