Bonus edilizi e contratto d’appalto: cosa accade se il committente recede?
Nella gestione dei rapporti tra committente e impresa, possono essere previste clausole che subordinano il pagamento alla cessione del credito. Ma in caso di contenzioso i rischi sono molti.
Affidare a un’impresa l’appalto di lavori sui propri immobili, si sa, è un’operazione delicata, che impone attenzione nella scelta dell’esecutore e vigilanza sulla correttezza del suo operato. Se poi di mezzo ci sono i bonus edilizi, in fase di definizione del contratto è possibile che le parti, in base alle loro specifiche esigenze, scelgano di pattuire clausole apposite per regolare gli aspetti edilizi, tarandoli su quelli fiscali.
Il contratto d’appalto: tra lavori e agevolazioni
Il timore di essere “abbandonati” dal costruttore, con la conseguenza di mettere in dubbio la spettanza delle agevolazioni, può portare ad esempio a prevedere nel contratto d’appalto alcune precisazioni sull’erogazione dei corrispettivi che spettano all’impresa esecutrice. Ma non solo, perché spesso ci sono in gioco anche aspetti di tipo finanziario, considerato che un committente potrebbe non essere dotato della liquidità necessaria per saldare di tasca propria i conti. Per questo motivo, è possibile che chi incarica un’impresa di realizzare lavori agevolabili con bonus edilizi cerchi di tutelarsi “preventivamente”, subordinando il pagamento dei lavori all’effettivo concretizzarsi della possibilità di cedere il credito d’imposta che scaturisce dalla spettanza del bonus.
Chiaramente, l’appaltatore è libero di sottoscrivere o meno simili clausole, ma nel caso in cui lo faccia, dalla loro chiarezza dipenderà l’effettivo svolgersi dei rapporti tra le parti, con importanti conseguenze anche sul piano degli eventuali contenziosi che possono sorgere. Come emerge da una recente sentenza, la n. 512 emanata dal Tribunale di Verona il 29 febbraio 2024, anche a fronte di clausole specifiche che riguardano i bonus edilizi, sciogliere il contratto unilateralmente significa farne venire meno la validità.
Quello che si delinea, dunque, è che in caso di intoppi gli step da seguire dipendono fortemente da come è strutturato il contratto d’appalto, e che il recesso unilaterale non è sempre la migliore soluzione.
L’interpretazione delle clausole
Inserire nel contratto d’appalto delle clausole che legano i rispettivi obblighi al buon esito delle pratiche fiscali, può rivelarsi un’arma a doppio taglio. Scriverle frettolosamente, nella speranza di tutelarsi, può invece tradursi in esiti meno fortunati, aprendo a incomprensioni che possono portare a richiedere l’intervento di un giudice. Più le clausole sono imprecise, più sarà infatti possibile per ciascuna parte interpretarle “liberamente”.
Il caso trattato a fine febbraio dal Tribunale di Verona rappresenta un valido esempio di come le interpretazioni di una stessa clausola possono variare.
Nel caso di specie, un committente chiedeva l’annullamento del decreto ingiuntivo che gli imponeva di pagare all’impresa appaltatrice il corrispettivo relativo ad alcune opere di demolizione da questa realizzate. In particolare, il committente contestava che nulla fosse dovuto all’impresa, in quanto il pagamento richiesto risultava inesigibile sulla base di una clausola contrattuale, sottoscritta dall’appaltatrice. Detta clausola, nel dettaglio, prevedeva molto genericamente che “il pagamento del corrispettivo dei lavori di cui al presente contratto è subordinato all’accettazione del finanziamento di cui al Superbonus ed Ecosismabonus”. Ciò in quanto il committente non disponeva delle risorse necessarie per poter pagare le opere appaltate, rendendosi necessario attendere la cessione del credito derivante dai bonus edilizi per entrare in possesso della liquidità sufficiente.
Accadeva però che la banca alla quale il committente aveva scelto di cedere detto credito d’imposta rifiutava la pratica, valutando negativamente l’impresa a cui erano stati affidati i lavori.
Come evidenzia la sentenza, le due parti, committente e appaltatore, sono in disaccordo su cosa voglia dire “accettazione del finanziamento”. Ci si riferisce alla effettiva monetizzazione o il significato è più elastico? Il committente sposa la prima interpretazione, mentre l’impresa la seconda, rendendosi così evidente che simili clausole devono essere scritte con grande attenzione, specificando nel dettaglio i termini dell’accordo. Altrimenti, il contenzioso è dietro l’angolo.
Occhio alla risoluzione del contratto
Dalla vicenda giudiziaria appena ripercorsa emerge anche un altro importante tema. Nel caso di specie, infatti, considerato il rifiuto della banca di accettare un credito d’imposta a seguito di lavori eseguiti da quella specifica impresa edile, il committente si è affrettato a recedere unilateralmente dal contratto d’appalto sottoscritto con quest’ultima, così da poter incaricare una nuova impresa, più gradita alla banca.
Purtroppo, però, questa mossa gli è costato il diniego, da parte del Tribunale, delle sue pretese. In particolare, il Giudice non è neanche entrato nel merito della discussione tra le parti sulla corretta interpretazione della clausola, ritenendola del tutto ininfluente a causa dell’intervenuto recesso unilaterale. Infatti, si legge nella pronuncia, “a prescindere dall’interpretazione da dare a tale clausola (nel senso che essa intendesse condizionare il pagamento del corrispettivo alla concessione del credito d’imposta o alla sola verifica positiva dei requisiti preliminari per l’accesso al bonus), è infatti evidente che il presupposto per la sua operatività è la persistente vigenza del contratto nei rapporti tra le parti”. Insomma, se il contratto viene meno, le clausole (anche scritte meglio), cadono con lui.
E non solo, perché recedere unilateralmente dal contratto d’appalto comporta, in base all’art. 1671 del Codice Civile, che il committente debba indennizzare l’appaltatore per quanto già realizzato, nonché per il mancato guadagno che consegue all’interruzione a lavori in corso del rapporto. Preso atto di ciò, il Giudice dà ragione all’impresa, confermando l’ingiunzione di pagamento a carico del committente.
Ogni caso è a sé stante
Alla luce di quanto fino a qui illustrato, è evidente che quando i contratti d’appalto intendono regolare i rapporti tra le parti anche alla luce dei bonus edilizi, non c’è modo di individuare in termini generali quale sia la clausola giusta. Non esiste un modello predefinito, e neanche una lista di step valida per tutte le situazioni. Ogni caso, cioè, ha le sue particolarità, che vanno gestite sin dal principio, per non ritrovarsi con contratti d’appalto “prestampati” ma ormai sottoscritti.
Allo stesso modo, prima di effettuare un recesso, per quanto apparentemente ragionevole data la necessità di cambiare impresa per “cause di forza maggiore”, sarà fondamentale accertarsi di quali saranno le reali conseguenze, perché potrebbero realizzarsi effetti opposti rispetto a quelli sperati. Oltre a dover indennizzare l’impresa, come detto, in caso di recesso unilaterale “non possono più invocarsi da parte del committente le previsioni contrattuali in tema di esigibilità del corrispettivo”, come chiude il Tribunale di Verona.
La cautela, dunque, non è mai troppa, né in fase di stesura del contratto, né in fasi successive, quando bisogna decidere come muoversi a fronte del concreto venire meno della possibilità di monetizzare il credito d’imposta legato alle detrazioni edilizie.