Bonus edilizi, come fare a restituire crediti fiscali indebitamente fruiti
Le modalità di restituzione dei bonus fiscali (e le eventuali sanzioni) dipendono da “dove si trovano” i crediti d’imposta al momento della restituzione, ma tutto cambia se scattano procedimenti penali.
A causa di una serie di spiacevoli errori che hanno interessato la mia pratica di Superbonus, inerente a lavori svolti nel 2023, mi è stato riferito di aver beneficiato di crediti fiscali non spettanti per un importo pari a 120 mila euro. Vorrei sapere come fare per restituire detti crediti non spettanti onde evitare che vengano maggiorati gli interessi e le sanzioni dall’amministrazione finanziaria.
L’esperto risponde: la restituzione del credito indebitamente fruito
Quando un contribuente accede a una detrazione d’imposta che, per un motivo o per un altro, non gli spetta, scatta la necessità di “rimborsare” quanto indebitamente fruito. Tale meccanismo, posto a tutela delle casse statali, è evidentemente correlato al verificarsi di un c.d. “danno erariale”, ovvero di un vero e proprio ammanco nel bilancio pubblico, causato dal comportamento del contribuente.
Il caso presentato dal gentile lettore non specifica se il credito Superbonus da egli percepito sia stato già utilizzato a detrazione delle imposte dovute direttamente nel proprio F24, e neanche se invece abbia optato per la cessione del credito a un terzo o all’impresa esecutrice, utilizzando lo sconto in fattura. Infatti, in base al “ciclo di vita” del bonus, gli step da seguire variano molto, alla luce del fatto che l’Agenzia delle Entrate ha chiarito ufficialmente un principio molto ragionevole: in caso di cessione del credito o sconto in fattura, la violazione sussiste solo nel momento in cui il terzo “monetizza” il credito, utilizzandolo effettivamente in compensazione. Attenzione, però, perché tale meccanismo opera solo in caso di errori in buona fede e ravvedimenti tempestivi. Una prima sentenza in materia inquadra infatti come reato la percezione di crediti d’imposta inesistenti dovuta a comportamenti criminosi, a prescindere dall’effettiva compensazione o meno degli stessi.
Quando scatta la violazione
Come accennato, sono giunti di recente alcuni chiarimenti da parte delle Entrate in materia di indebita fruizione dei bonus edilizi. Nel dettaglio, all’interno della risposta a interpello n. 440/2023, l’amministrazione ha ribadito che l’assenza dei requisiti previsti dalle norme sulle detrazioni edilizie “determina il recupero dell’ammontare della detrazione indebitamente fruita – anche sotto forma di sconto in fattura o attraverso la cessione del credito – maggiorato di interessi e sanzioni, sempre in capo al soggetto beneficiario, titolare dell’agevolazione fiscale”.
Dopodiché, però, l’AdE prosegue distinguendo in base alla modalità di fruizione del bonus “in più”. Se, cioè, il contribuente ha utilizzato il credito d’imposta direttamente in dichiarazione, compensando le imposte da egli dovute in misura maggiore a quanto gli sarebbe spettato, ecco che “la violazione si configura in ciascuna annualità nella quale la stessa viene esposta in dichiarazione ed utilizzata, e consiste nel minor versamento dell’imposta dovuta”. Se, invece, il contribuente ha preferito optare per la cessione del credito relativo al Superbonus, allora “la violazione si configura solo nel momento in cui il credito ceduto è indebitamente utilizzato in compensazione da parte del cessionario, e cioè quando si concretizza il danno erariale”. In parole povere, se il beneficiario di un bonus edilizio non è più nella disponibilità del relativo credito (poiché lo ha ceduto) e quest’ultimo è “fermo” nel cassetto fiscale del soggetto che l’ha ricevuto, non scatta alcun obbligo di restituzione, poiché il danno per le casse statali non si è ancora verificato.
Tutto cambia invece se il contribuente ha messo in atto un comportamento criminoso, volto a dichiarare lavori mai eseguiti per accedere illegalmente ad agevolazioni fiscali. Infatti, la Corte di Cassazione penale ha avuto modo di esprimersi su un simile caso con la sentenza 37138/2023. Con questa, è stato convalidato il sequestro di una somma di 2 milioni di euro in capo agli imputati, ritenuti responsabili di aver costituito un sodalizio criminale tramite società edilizie che avevano certificato con documentazione falsa lavori eccedenti il reale valore di quelli eseguiti, fruendo del Superbonus. Secondo la difesa, nel dettaglio, tale sequestro preventivo non aveva sostanza, dato che non era ancora verificato alcun danno per lo Stato, non essendo avvenuta la compensazione del credito illegale con debiti d’imposta. Tuttavia, il giudice ha invece ritenuto consumato il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter C.P.), poiché “con il riconoscimento del credito di imposta, immediatamente monetizzabile, il reato è già consumato in quanto l’ente erogatore (lo stato ndr.) non è più nella possibilità di recuperare quanto erogato ed il soggetto beneficiario ha già avuto l’accrescimento del proprio patrimonio”.
Insomma, per quanto, come detto, l’AdE non ritenga avvenuta una violazione tributaria fino a quando il credito non è monetizzato con compensazione, ciò non significa in automatico che la procura non possa individuare ipotesi di reato anche nel caso in cui detta monetizzazione non sia ancora avvenuta.
Come regolarizzare la propria posizione
Da quanto sino a qui evidenziato, discende che le indicazioni da fornire al gentile lettore su come procedere a riversare l’indebito, nel caso in cui sia stata effettuata una cessione, dipendono a stretto giro da “dove si trovano” i crediti fiscali. In sintesi, sono tre le situazioni ipotizzabili: 1) la comunicazione dell’opzione non è stata ancora inviata; 2) la comunicazione è stata inviata ma non ancora accettata; 3) la comunicazione è stata inviata e accettata, ma il credito non è stato né compensato né ulteriormente ceduto.
Nel primo caso, lo sconto in fattura (o cessione a terzi) non si è ancora perfezionato, e il credito non esiste, e dunque non vi è un importo da restituire. Di conseguenza, se la comunicazione di cessione non è ancora intervenuta, il contribuente dovrà attivarsi per modificare la contabilità indicata nelle fatture. In particolare, non serve annullarle e riemetterle, ma è preferibile che l’impresa esecutrice che ha effettuato lo sconto (in maniera superiore a quanto possibile in base alle norme) rilasci un documento extra fiscale con il quale documenta il parziale venir meno dello sconto (in tal senso si è espressa l’Agenzia, con risposta a interpello n. 581/2022). Infine, in questo caso le somme non pagate all’impresa a causa di uno sconto sovrastimato, dovranno essere versate alla stessa, ma la macchina della sanzione tributaria non si attiva.
Se, invece, il lettore si trova nella situazione di cui al punto 2), sarà fondamentale che il fornitore rifiuti i crediti d’imposta di cui si è comunicata la cessione. Se ciò avviene senza problemi, anche in questo caso nessuna sanzione sarà dovuta e saranno solo da effettuare gli “aggiustamenti contabili” sopra descritti.
Più complicata, invece, è la circostanza descritta al punto 3), nella quale risulta fondamentale la collaborazione del cessionario. Infatti, se i crediti sono stati già accettati da quest’ultimo, che non li ha però “monetizzati” compensandoli con le proprie imposte dovute o cedendoli a sua volta, può essere richiesto (a firma congiunta di beneficiario e cessionario) l’annullamento dell’accettazione della comunicazione, così come illustrato dalle Entrate nella circolare n. 33/2022.
Se il cessionario collabora, la modalità di restituzione è la stessa dei punti 1) e 2), e non saranno dovute sanzioni. Ma se, purtroppo, egli si rifiuta di apporre la sua firma a tale richiesta o se ha già utilizzato il credito (concretizzando il danno erariale), allora il gentile lettore beneficiario del Superbonus dovrà riversare allo Stato 120 mila euro, pari all’importo dell’indebita detrazione ceduta, al fine di “precostituire” il credito utilizzato dal cessionario, offrendo cioè una base economica per “rattoppare” l’uscita illegittima della somma dalle casse statali.
Sanzioni e interessi
Nell’ultima, più sfortunata, ipotesi descritta, si ritiene che il contribuente potrà disapplicare sanzioni e interessi solo se potrà provare che il credito da egli ceduto non è stato ancora compensato alla data del riversamento. In caso contrario, per rimuovere la violazione saranno dovuti interessi e sanzioni, alleggeriti tramite l’istituto del ravvedimento operoso.
Come poter provare tale elemento è ad oggi un mistero, poiché l’amministrazione non ha fornito indicazioni ufficiali. Tuttavia, è ragionevole ritenere che per la prima annualità del credito d’imposta (2024), sia sufficiente produrre una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà con cui il fornitore (o il diverso acquirente del credito) specifichi di non aver compensato la somma ricevuta, allegando possibilmente copia del proprio cassetto fiscale. Per le annualità successive, invece, la prova non ha bisogno di particolare documentazione a supporto, dato che il bonus non può essere stato ancora compensato per legge, dato che l’art. 121, co. 3, del D.L. 34/2020 specifica che “i crediti d’imposta (ceduti, ndr.) sono utilizzati in compensazione […] con la stessa ripartizione in quote annuali con la quale sarebbe stata utilizzata la detrazione”.