Bonus barriere 75%: le deroghe ai requisiti tecnici di legge
In alcuni casi, gli ostacoli per i disabili possono considerarsi rimossi anche se le specifiche di legge non sono rispettate, purché la scelta sia tecnicamente motivata.
Dopo che la scure del D.L. n. 11/2023 ha investito la quasi totalità dei bonus edilizi, vietando la cessione del credito d’imposta maturato e la pratica dello sconto in fattura, si sono accesi i fari su tutti gli spiragli rimasti invece aperti. È per questo, probabilmente, che dal febbraio 2023 (data di entrata in vigore del decreto) l’attenzione sul bonus barriere architettoniche ha vissuto un’impennata.
Bonus barriere 75%: le deroghe al DM n. 236/1989
Tale detrazione al 75%, introdotta dal Decreto Rilancio (DL 34/2020, art. 119-ter), infatti, è l’unico bonus che si è salvato integralmente dal Decreto Cessioni, che mantiene esplicitamente attiva la possibilità di fruire di tale agevolazione anche tramite le modalità alternative alla detrazione diretta in F24, rendendolo vantaggioso soprattutto per chi non ha la capienza fiscale adatta allo scomputo del bonus dalle imposte dovute.
Ma anche prima del DL 11/2023, il livello di interesse sul bonus barriere era alto, in quanto accedervi è in un certo senso “semplice”, essendo richiesto il rispetto “solo” di alcuni requisiti di natura tecnica, fissati dal DM 236/1989, in base al quale anche solo la sostituzione degli infissi, se in linea con detti requisiti, può in teoria ricadere nell’agevolazione.
Ma l’utilità sociale del bonus, nato per incentivare l’adattamento dei luoghi all’utilizzo da parte di persone con disabilità, lo rende anche più ampio e flessibile di così, considerato che il DM n. 236/1989 stesso prevede la sua derogabilità, a condizione che i tecnici producano apposite relazioni giustificative.
Il rispetto del DM n. 236/1989
La disposizione che regola il Bonus barriere, è apparentemente molto chiara nell’imporre che le opere realizzate, per poter essere agevolate, debbano essere del tutto in linea con il DM 236/1989. Il DL 34/2020, infatti, all’ultimo comma del suo art. 119-ter, stabilisce che “ai fini dell’accesso alla detrazione, gli interventi di cui al presente articolo rispettano i requisiti previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236”.
Si tratta del DM attuativo della Legge n. 13/1989, recante “Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati”, che rimanda appunto a un decreto ministeriale l’individuazione di quali opere edilizie siano adeguate a tal fine, così che il DM contiene tutte le specifiche tecniche a riguardo, dalle dimensioni degli infissi ai materiali da impiegare.
Il richiamo da parte dell’art. 119-ter al DM 236/1989, posto come unico requisito tecnico all’ottenimento del bonus, comporta che, come spesso si è avuto modo di sottolineare, molti interventi anche all’apparenza non affini all’accessibilità per i disabili possono ricadere (con le dovute attenzioni) sotto l’ombrello agevolativo del Bonus barriere, come la sostituzione degli infissi anche all’interno di singole unità immobiliari.
L’utilità sociale
E se le opere, invece, eliminano effettivamente barriere preesistenti, ma vengono in parte meno ai dettami del DM n. 236/1989? La strada del bonus barriere, in questo caso, sembrerebbe sbarrata, alla luce di quanto illustrato sin qui. E invece, la giurisprudenza e un’analisi approfondita dello stesso DM offrono una risposta alternativa.
Tutto, nel dettaglio, ruota attorno alla già richiamata utilità sociale della materia. Si tratta di un merito non solo dovuto, se si guarda agli interessi materialmente protetti, ma anche di un principio esplicitamente stabilito dalla Corte Costituzionale. Con la pronuncia del 28 marzo 2017, n. 7938, infatti, la Consulta ha spiegato come “in materia di eliminazione di barriere architettoniche, la legge 9 gennaio 1989, n. 13, costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico”.
La finalità pubblicistica torna spesso nelle decisioni dei tribunali, quando sorgono controversie tra privati in relazione a lavori da eseguire, ad esempio, nei condomini, ove è stato chiarito che si tratta di rimozione di barriere anche nel caso in cui non vi siano disabili tra i condòmini.
In tal senso è chiara l’ordinanza della Cassazione n. 19087/2022, con la quale la Suprema Corte ha dichiarato legittima l’installazione di un ascensore all’interno di un condominio anche se avrebbe ridotto lo spazio disponibile delle rampe delle scale. Nell’ordinanza, infatti, l’organo argomenta che “allorché l’installazione di un ascensore su area comune sia funzionale allo scopo di eliminare delle barriere architettoniche […] occorre tenere conto del principio di solidarietà condominiale, che implica il contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche […] trattandosi di un diritto fondamentale che prescinde dall’effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati”.
La Cassazione, insomma, conferma quanto stabilito dai gradi precedenti, in ordine al considerare un “sacrificio minore” la riduzione dello spazio sulla scala rispetto all’interesse pubblicistico più alto dell’accessibilità per tutti, e partendo da questi presupposti, esprime un ulteriore principio che mette in dubbio l’assoluta rigidità delle regole del DM.
L’ordinanza della Cassazione che ribalta l’inderogabilità del DM 236/1989
L’appena citata ordinanza n. 19087/2022 della Cassazione, risolve la controversia in un modo “rivoluzionario”, basandosi cioè sul principio che il DM n. 236/1989, seppure all’interno di limiti strettissimi, è derogabile, e lo fa proprio alla luce degli interessi “superiori” che mira a tutelare.
Si tratta di un caso nato a seguito dell’intenzione di alcuni condòmini di installare un ascensore nella zona comune, progetto che viene impugnato dagli altri in quanto avrebbe ristretto la scala del palazzo da 120 a 77 cm, al di sotto del limite minimo di larghezza fissato dal DM. A detta dei ricorrenti, inoltre, anche l’ascensore sarebbe stato realizzato in difformità a quanto previsto dal DM, in quanto la cabina sarebbe stata troppo piccola rispetto agli 1,20 ml di profondità e 0,80 ml di larghezza prescritti.
Insomma, l’intuito ci dice che si tratta di una palese violazione dei requisiti tecnici di legge, ma il giudice ragiona diversamente, asserendo che è lo stesso DM n. 236/1989 a prevedere al suo interno metodi alternativi per rispettarlo, proprio per far prevalere l’interesse pubblicistico alla rimozione delle barriere sulle difficoltà pratiche che gli operatori possono incontrare nel rispetto degli stringenti requisiti. Ogni edificio, infatti, ha le sue particolarità, e spesso i suoi limiti in termini di spazio da valutare caso per caso, ma senza sicuramente sacrificare a priori l’installazione di un ascensore, che può davvero cambiare la vita alle persone.
Dopo aver acceso un dubbio sull’applicabilità delle norme del DM alla manutenzione straordinaria, dato che questo si applica solo alla “costruzione di nuovi edifici, ovvero alla ristrutturazione di interi edifici” (Legge n. 13/1989, art. 1), la Suprema Corte stabilisce che “quand’anche tali prescrizioni tecniche si applicassero agli edifici preesistenti, esse sono comunque derogabili, seppure entro i ristretti limiti consentiti”, spiegando anche come nel caso di specie le scale (seppure di dimensioni inferiori a quelle imposte dal DM) avrebbero comunque consentito il passaggio di una persona di corporatura media.
Nel dettaglio, prosegue l’ordinanza, le prescrizioni tecniche dell’art. 8 del DM n. 236/1989, in ordine alla larghezza minima delle rampe delle scale e degli ascensori, possono essere derogate, poiché l’art. 7 dello stesso DM, consente, in sede di progetto, di adottare soluzioni alternative alle suddette specificazioni, purché rispondenti alle esigenze sottintese dai criteri di progettazione. E non solo, perché il co. 5 dell’art. 7 stabilisce altresì che negli interventi di ristrutturazione “sono ammesse deroghe alle norme del presente decreto in caso di dimostrata impossibilità tecnica connessa ad elementi strutturali ed impiantistici”.
Il tecnico deve attivarsi
Come si è visto, dunque, esistono casi in cui il DM n. 236/1989 può essere disatteso, con la conseguenza che per accedere al Bonus Barriere non è sempre indispensabile rispettare in modo pedissequo le specifiche tecniche richieste.
Tuttavia, chiaramente, la liceità delle deroghe ammesse dal DM deve passare attraverso alcune “giustificazioni” tecniche che vanno compiutamente dimostrate. A tal fine, è sempre l’art. 7 del DM a specificare che le deroghe sono concesse “in sede di provvedimento autorizzativo, previo parere dell’ufficio tecnico”, rendendosi necessario che la scelta di adoperare soluzioni edilizie alternative a quelle imposte dal DM sia motivata con una relazione allegata al progetto. In tal senso, è ancora l’art. 7 del DM ad essere molto chiaro, prevedendo che sia prodotta una “relazione corredata con grafici con la quale viene illustrata l’alternativa proposta e l’equivalente o migliore qualità degli esiti ottenibili”.
Ad oggi tuttavia non è dato sapersi come l’Agenzia delle Entrate possa “interpretare”, almeno in prima battuta, simili deroghe di natura tecnica, posto che l’art. 119-ter del DL n. 34/2020 dispone che, ai fini dell’accesso alla detrazione, gli interventi devono rispettare i requisiti del relativo DM.