A seguito di interventi edilizi rilevanti, come quelli effettuati con il Superbonus, può rendersi necessario procedere con l’aggiornamento dei dati catastali dell’immobile. Ciò indipendentemente dall’invio delle lettere di compliance (avvisi bonari) trasmessi dall’Agenzia delle Entrate, in quanto tale obbligo è previsto dall’ordinamento per ogni intervento edilizio, ed è sancito addirittura da un Regio Decreto legge, il numero 652 del 1939. Ovviamente non si tratta di un obbligo automatico, in quanto a monte deve essere svolta – caso per caso – una valutazione per stabilire se gli interventi messi in atto siano tali da incidere sulla consistenza o sul valore dell’immobile e quindi se tale aggiornamento sia realmente necessario.

In questo contesto, è importante chiarire che l’onere della revisione catastale grava in via esclusiva sui singoli condòmini, i quali devono incaricare un tecnico abilitato per le verifiche e la successiva comunicazione all’Agenzia delle Entrate.

Tuttavia, l’amministratore di condominio è chiamato a svolgere un ruolo fondamentale di supporto: non solo è opportuno che informi l’assemblea di questo adempimento, ma deve anche agevolare l’accesso alle informazioni utili, nonché deve collaborare affinché i dati tecnici ed economici siano disponibili per consentire ai condòmini di adempiere correttamente all’obbligo.

Il modello catastale è unico per l’edificio e ne sono titolari i singoli condomini

Va ricordato che il condominio, essendo costituito da una pluralità di unità private che condividono parti comuni, è rappresentato unitariamente nel modello catastale.

Il cosiddetto “mod. 1NB”, predisposto dall’Agenzia delle Entrate, raccoglie infatti i dati dell’intero edificio, incluse le informazioni relative alle strutture comuni, come la tipologia di copertura, le finiture esterne e le caratteristiche portanti.

Nel caso di ristrutturazioni che incidano su tali elementi comuni, anche questi dati devono essere aggiornati. L’aggiornamento non è automatico né collettivo: ciascun condòmino ha il dovere di verificare e aggiornare i dati relativi alla propria unità e alla quota parte di beni comuni, avvalendosi del supporto di un tecnico.

Il supporto dell’amministratore nella fase di valutazione catastale

Sebbene l’aggiornamento catastale non rientri tra gli adempimenti “propri” dell’amministratore, è evidente come il suo apporto possa risultare decisivo.

L’amministratore dovrebbe, ad esempio, sollecitare il General Contractor (GC) che si è occupato dei lavori Superbonus – se presente – a fornire una valutazione complessiva sull’eventuale necessità di variazione della rendita catastale.

Tale valutazione si rende necessaria soprattutto nei casi in cui, a seguito degli interventi agevolati, si determini un incremento del “valore catastale” superiore al 15% rispetto alla rendita originaria, soglia oltre la quale scatta l’obbligo di aggiornamento.

Per accertare questa condizione, è necessario reperire i dati economici dei lavori suddivisi per categorie (cappotto termico, impianti, infissi, ecc.) ed elaborarli correttamente.

L’operazione prevede anche una retrodatazione dei costi al biennio 1988-1989, come richiesto dalle attuali prassi catastali, nonché una valutazione del deprezzamento di dette voci per tener conto del deperimento delle opere nel tempo.

In assenza di un GC o qualora questo non provveda, sarà l’amministratore a dover organizzare i dati economici in modo ordinato e a renderli disponibili, in forma di rendiconto consuntivo, per i tecnici incaricati dai singoli condòmini. Sarà poi il tecnico a redigere l’eventuale variazione catastale tramite procedura DOCFA (Documenti Catasto Fabbricati), da inviare agli Uffici provinciali competenti.

Le conseguenze in caso di mancato aggiornamento catastale

È bene sottolineare che attendere un intervento d’ufficio da parte dell’Agenzia delle Entrate non è una scelta vantaggiosa, sebbene contemplata dalla normativa.

Infatti, se a distanza di 90 giorni dalla comunicazione bonaria il contribuente non ha ancora provveduto ad aggiornare la rendita, e siano trascorsi oltre 30 giorni dal completamento dei lavori, l’Agenzia può procedere autonomamente attribuendo una rendita provvisoria ai sensi dell’art. 28, comma 1, del R.D.L. 652/1939.

Questa rendita d’ufficio comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie che possono andare da un minimo di 1.032 euro a un massimo di 8.264 euro per ogni unità immobiliare, a seconda della gravità dell’omissione. Anche nel caso in cui venga applicata la sanzione minima, questa può essere ridotta a un terzo se il pagamento avviene entro i termini previsti (di norma 60 giorni), per un totale di circa 344 euro. Ma non è tutto.

Oltre alla sanzione, al contribuente verranno addebitati anche i costi tecnici sostenuti dagli Uffici per la regolarizzazione, nonché le spese di notifica. Queste attività, peraltro, possono essere affidate dall’Agenzia del Territorio a professionisti esterni in base a convenzioni stipulate ai sensi dell’art. 19 del D.L. 78/2010.

Una rendita provvisoria che lascia traccia

È importante tenere a mente che la rendita catastale attribuita d’ufficio ha natura provvisoria e viene indicata nelle visure come “rendita presunta”. Questa dicitura non solo resta visibile, ma obbliga il proprietario, in caso di vendita o successione, a intervenire nuovamente per rettificare o confermare i dati. Di fatto, si rischia di dover affrontare due volte il costo dell’aggiornamento: una prima volta per effetto delle sanzioni e delle spese imposte dall’Agenzia, e una seconda per l’onorario del tecnico che dovrà sanare la situazione.

Per evitare questi aggravi, è fondamentale che l’amministratore collabori sin da subito con i condòmini, fornendo tutte le informazioni necessarie per una corretta valutazione e, se del caso, per procedere all’aggiornamento catastale in via spontanea e regolare.