Superbonus, blocco della cessione dei crediti e contenziosi con la ditta esecutrice
A causa delle modifiche normative, in particolare del blocco della cessione dei crediti, sono frequenti i casi in cui le ditte esecutrici abbandonano il cantiere.
In edilizia i limiti temporali di esecuzione dei lavori sono sempre stati segnati da confini sfumati, tra cause di forza maggiore, circostanze imprevedibili e termini supplettivi per l’ultimazione delle opere. Quando ci sono di mezzo i bonus bisogna ragionare in modo diverso. Il legislatore, infatti, ha fissato scadenze precise e inderogabili, spesso dettate solo da esigenze politiche e di finanza pubblica. Chi le sfora è tagliato fuori dalle agevolazioni, come successo per i condomini con il termine del 24-25 novembre per la presentazione della CILAS.
Inevitabilmente tutto ciò rischia di ripercuotersi sulla qualità dei progetti e dei lavori, nonché sui rapporti contrattuali tra le figure coinvolte che, se non gestiti correttamente, possono sfociare in contenziosi.
È chiaro infatti che un qualunque ritardo, soprattutto nel caso di lavori complessi, può far saltare la pianificazione economica fatta dai proprietari.
Le cause dei ritardi
Alla radice di un ritardo di solito ci sono inadempimenti contrattuali. Le cause possono essere le più varie, così come i soggetti che ne sono responsabili.
Può trattarsi di un tecnico che si è impegnato a fare i progetti e che poi, per un motivo o per un altro, non li ha fatti o non li ha presentati agli uffici.
Oppure può trattarsi di un fornitore che ha mancato la consegna di un materiale.
Oppure ancora può essere colpa di un subappaltatore.
Ma la situazione più frequente è quella dell’appaltatore che, per sovraccarico di lavoro, per disorganizzazione, o per mancanza di fondi conseguente al blocco della cessione dei crediti, ha aperto il cantiere e poi ha sospeso i lavori a tempo indeterminato.
In era pre-bonus, per quanto l’evento fosse più raro, si trattava di una fattispecie gestibile facilmente, non essendoci quasi mai scadenze inderogabili. Pertanto si poteva provare ad aspettare, magari applicando qualche penale… Del resto arrivare al compimento dei lavori è interesse di tutti.
Ora invece sui tempi, così come sugli importi e sull’efficacia degli interventi, non si può più scherzare.
Come tutelarsi
Di fronte al rischio di una impresa che va lunga sui tempi, soprattutto se non vengono fornite adeguate garanzie sul piano finanziario, il committente ha solo un’arma, il contratto di appalto che, nel caso del Superbonus, deve regolamentare attentamente i termini di consegna dei lavori, totali e parziali. In caso di problemi la prima cosa d farlo è andarlo a leggere e cercare di comprenderne i risvolti sia sul piano tecnico sia su quello legale.
Se il contratto è ancora da fare è più facile. Il committente potrà inserire una serie di clausole a sua tutela. Anzitutto può essere utile inserire una cosiddetta “clausola risolutiva espressa”, ai sensi dell’articolo 1456 del Codice civile; in questo modo, al verificarsi di un inadempimento dell’appaltatore, il committente potrà attivare tale clausola, con la conseguenza che il contratto si intenderà risolto di diritto. Ciò senza che risulti necessaria la pronuncia della risoluzione da parte di un Giudice e senza dover attendere le tempistiche della diffida e messa in mora.
Il committente potrà tutelarsi ulteriormente indicando nel contratto di appalto quali prestazioni dovranno intendersi da effettuare entro un termine ben definito nel tempo e ritenuto dalle parti espressamente “essenziale”, ai sensi dell’articolo 1457 del Codice civile; in mancanza della prestazione entro il termine fissato, il contratto si intenderà risolto di diritto e anche in tale caso non sarà necessaria la risoluzione per via giudiziale, risparmiando così mesi preziosi ed evitando l’alea del giudizio, con i rischi che ne derivano.
È chiaro che, anche laddove non fosse previsto in contratto il suddetto termine “essenziale”, o non fosse stata inserita una “clausola risolutiva espressa” (o più di una), resta al committente la tutela generale prevista dall’articolo 1454 del Codice civile per la quale potrà intimare per iscritto all’appaltatore di adempiere alle sue obbligazioni entro un dato termine preavvisandolo che, in caso contrario, il contratto si intenderà risolto. Laddove l’adempimento non intervenga entro tale termine il contratto si intenderà anche in questo caso “risolto di diritto”.
Ovviamente l’appaltatore potrà sempre valutare di agire in giudizio nei confronti del committente per far valere le proprie ragioni, laddove ritenga di averne, ad esempio per non essere stato inadempiente rispetto a quanto previsto. In tal senso può essere utile che il testo del contratto venga redatto a 4 mani, non solo da un legale, ma anche da un professionista tecnico (dal direttore lavori o da un consulente specializzato), che conosce meglio le dinamiche del cantiere.
Nella pratica quotidiana è difficile che l’appaltatore rinunci alla possibilità di agire in giudizio nei confronti del committente qualora gli venga contestato un inadempimento, anche per cercare di allontanare il rischio di una richiesta di risarcimento dei danni. È chiaro tuttavia che laddove siano state circostanziate in modo adeguato nel contratto di appalto le clausole di risoluzione e laddove, tanto più, la contestazione venga accompagnata da una perizia giurata che attesti la situazione sul piano tecnico, l’impresa sarà meno propensa ad opporsi alla risoluzione, poiché aumenterebbe il rischio di incorrere in una sentenza che la condanni, oltre che alla rifusione delle spese legali sostenute dal committente per la propria difesa, anche al risarcimento dei danni in suo favore per aver agito in giudizio con mala fede o colpa grave.
E una volta risolto il contratto?
È vero, risolvere il contratto può significare rimanere a piedi del tutto. Oppure può consentire di aprire una nuova partita, nel senso che oggi, forse, non è più impossibile trovare sul mercato operatori disponibili a fare i lavori, perché l’ingolfamento di richieste di qualche mese fa sembra essere entrato in fase calante, come dimostrano alcuni recenti report pubblicati da ENEA.
Indipendentemente dai dati e dalla speranza di trovare una nuova ditta, l’unica alternativa alla risoluzione del contratto, se l’impresa non risponde ai solleciti, è l’avvio di una procedura giudiziale per chiedere una sentenza che condanni l’impresa ad adempiere alla propria obbligazione. Ma i tempi della giustizia non sempre coincidono con le esigenze del contribuente, nemmeno ricorrendo ai procedimenti che vengono definiti d’urgenza, che richiedono comunque vari mesi di istruttoria.