333 millesimi sono davvero sufficienti per autorizzare l’esecuzione del cappotto?
Non sempre. Se ci sono imprevisti si perde il diritto al Superbonus e la delibera potrebbe risultare nulla.
Meglio non dare le cose per scontate in edilizia. Non sempre i buoni propositi (o i buoni progetti) vanno a buon fine. Nonostante l’impegno e la buona fede di tutti sono molteplici le cause imprevedibili che possono portare al fermo del cantiere.
La più frequente, non l’unica in realtà, è legata al blocco dei crediti fiscali, che sta privando di liquidità numerose imprese che avevano iniziato i lavori e che, a metà strada, si sono dovute fermare.
Venendo a mancare la possibilità di scambiare i crediti fiscali e, insieme, mancando la “volontà” finanziaria del proprietario dell’immobile, non è detto che si riescano a realizzare tutte le opere che erano previste nel progetto iniziale.
In condizioni normali, prima dei bonus, nulla di grave. Se per qualche motivo si cambiava idea era sufficiente fare una variante.
Ora le cose sono diverse perché la rinuncia a una parte dei lavori può determinare il mancato ottenimento del “doppio salto” di classe energetica, che è un requisito obbligatorio per rimanere nel solco del Superbonus.
Non è un dettaglio da poco, in quanto la possibilità di deliberare i lavori con la maggioranza ridotta a 333 millesimi vale solo per le opere che rientrano nel Superbonus.
Dunque è lecito chiedersi se, venendo meno il Superbonus per imprevisti in corso d’opera, che portano ad esempio alla mancata esecuzione di una parte dei lavori, quelli residui possono essere terminati in forza di una delibera adottata con la maggioranza ridotta a 1/3 che, lo ricordiamo, è stata introdotta in via eccezionale dal decreto rilancio.
Un esempio
Potrebbe sembrare una questione di lana caprina, ma in realtà non lo è.
Quando mai, potrebbe dire qualcuno, potrà succedere che si parte prevedendo una serie di opere di efficientamento e poi non si realizzano?
Quando mai, se anche non si realizzassero tutti i lavori, qualcuno dovrebbe mettere in discussione la validità della delibera che li aveva autorizzati?
Sono domande tutt’altro che astratte, un esempio può aiutarci a capirlo.
Ipotizziamo che il Condominio “Caio” decida di efficientarsi sfruttando il Superbonus.
Avvierà quindi l’iter edilizio, ormai noto a tutti. A una prima assemblea, preso atto dell’esistenza del Superbonus e della concreta necessità di realizzare dei lavori di efficientamento, la maggioranza deciderà di incaricare un tecnico per lo studio di fattibilità.
Il tecnico incaricato svolgerà quindi le verifiche e le calcolazioni di rito, confermando nella propria relazione la possibilità di fruire del Superbonus (ora al 90%) mediante sostituzione, ad esempio, della caldaia condominiale, dei serramenti e realizzando il cappotto nelle pareti di facciata.
Seguirà quindi una seconda assemblea con, all’Ordine del Giorno, un punto dedicato all’approvazione dei lavori sopra detti.
È evidente però che le opere ipotizzate dal tecnico sono invasive, non facili da digerire per tutti. Ad esempio per cambiare gli infissi bisogna intervenire dall’interno delle unità immobiliari, con i conseguenti disagi. Inoltre il cappotto riduce le dimensioni dei balconi, cosa che a molti non piace.
Ipotizziamo quindi che la delibera di esecuzione venga votata con soli 400/1000, “maggioranza” sufficiente trattandosi di opere che rientrano nel Superbonus, e ipotizziamo anche che nella delibera sia specificato che l’approvazione è subordinata all’ottenimento del Superbonus, ovviamente per contenere l’esborso da parte dei singoli proprietari, che viene contestualmente quantificato.
L’imprevisto e il blocco dei lavori
Può succedere, non credo sia difficile da credere, che durante l’esecuzione dei lavori qualcosa vada storto. Ad esempio l’impresa, che aveva sperato nella cessione dei crediti alla banca, può trovarsi inaspettatamente in carenza di liquidità per pagare i fornitori e gli operai.
A lavori iniziati anche il miglior contratto d’appalto non basta ad evitare problemi e rischi maggiori, primo fra tutti quello di una causa decennale, costosa e dall’esito incerto.
In questi casi conviene sempre la via del compromesso e quindi viene spontaneo pensare che la cosa migliore da fare sia una nuova assemblea, per deliberare una variante al progetto e al capitolato, con il fine di ridurre i lavori al solo cappotto esterno (è un esempio), che magari nel frattempo era già iniziato.
Così facendo però, pur essendoci una logica poiché si otterrebbe un miglioramento dell’efficienza energetica dell’edificio e si rinnoverebbe la facciata, non sarebbe possibile raggiungere il doppio salto di classe previsto inizialmente che, non dimentichiamolo, è condizione imprescindibile per fruire del Superbonus.
È evidente però che una decisione di questo tipo non può esser presa dalla maggioranza ridotta che inizialmente aveva approvato i lavori che dovevano beneficiare del Superbonus. Quindi potrebbe crearsi una situazione di stallo o, peggio, qualcuno dei contrari potrebbe rivolgersi al giudice per chiedere la nullità della delibera iniziale, stante il diverso esborso economico che ora i condomini si troverebbero a sostenere.
Nel caso descritto, infatti, le opere potrebbero beneficiare solo delle detrazioni ordinarie al 50/65% (ecobonus) con conseguente stravolgimento della pianificazione finanziaria inizialmente delineata.