Superbonus e bonus fiscali: come tutelarsi in caso di ritardi?
Alla radice di un ritardo di solito ci sono inadempimenti contrattuali. Le cause possono essere le più varie, così come i soggetti che ne sono responsabili.
In edilizia i limiti temporali dei lavori sono sempre stati segnati da confini piuttosto sfumati, tra cause di forza maggiore e circostanze imprevedibili. Con il Superbonus è diverso, il legislatore non ha previsto possibilità di deroghe alle scadenze e chi le sfora è tagliato fuori dalla maxi agevolazione.
Oggi, salvo ulteriori proroghe, i principali limiti temporali sono i seguenti:
- per i condomìni e gli edifici plurifamiliari con unico proprietario (2-4 u.i.) il 110% (o 90%) vale fino al 31 dicembre 2023; chi sostiene le spese nel 2024 ha diritto a una agevolazione del 70% e chi nel 2025 del 65%;
- per le persone fisiche è invece prevista una proroga al 31 marzo 2023 ma a patto che al 30 settembre 2022 sia stato completato il 30% dell’intervento.
È chiaro che, con questo calendario, se i lavori non procedono spediti (ricordiamo che per l’utilizzo delle opzioni alternative il pagamento delle spese non basta), qualunque ristrutturazione rischia di dover essere pagata per intero dal proprietario (che potrà eventualmente portarla direttamente in detrazione).
Le cause dei ritardi
Alla radice di un ritardo in cantiere di solito ci sono inadempimenti contrattuali. Le cause possono essere le più varie, così come i soggetti che ne sono responsabili.
Può trattarsi di un tecnico che si è impegnato a fare i progetti e che poi, per un motivo o per un altro, non li ha fatti o non li ha presentati agli uffici.
Oppure può trattarsi di un fornitore che ha mancato la consegna di un materiale.
Oppure ancora di un subappaltatore che non si è presentato.
Ma la situazione più frequente è quella dell’appaltatore che, per sovraccarico di lavoro o per disorganizzazione, apre il cantiere, inizia l’intervento e poi va via con la promessa di tornare. Quando non si sa.
In era pre-bonus, per quanto l’evento fosse più raro, si trattava di una fattispecie gestibile facilmente, non essendoci quasi mai scadenze inderogabili. Pertanto in condizioni normali si poteva provare ad aspettare, magari applicando qualche penale… Del resto arrivare al compimento dei lavori è interesse di tutti.
Come tutelarsi
Di fronte al rischio di una impresa che va lunga sui tempi, soprattutto se non vengono fornite adeguate garanzie sul piano finanziario, il committente ha solo un’arma, il contratto di appalto che, nel caso del Superbonus, deve regolamentare attentamente i termini di consegna dei lavori, totali e parziali.
In tal senso può essere opportuno inserire nel contratto una cosiddetta “clausola risolutiva espressa”, ai sensi dell’articolo 1456 del Codice civile; in questo modo, al verificarsi di uno o più degli inadempimenti dell’appaltatore come previsti in contratto, il committente potrà decidere di attivare tale clausola inviando alla controparte la sua dichiarazione di volersene valere, a mezzo raccomandata a/r o a mezzo pec, nelle modalità pattuite, con la conseguenza che il contratto si intenderà risolto di diritto. Ciò senza che risulti necessaria la pronuncia della risoluzione da parte di un Giudice e senza dover attendere le tempistiche della diffida e messa in mora. In questa ipotesi la pattuizione preventiva intercorsa tra le parti si sostituisce al controllo del giudice in ordine alla gravità dell’inadempimento.
Il committente potrà tutelarsi ulteriormente indicando nel contratto di appalto quali prestazioni dovranno intendersi da effettuare entro un termine ben definito nel tempo e ritenuto dalle parti espressamente “essenziale”, ai sensi dell’articolo 1457 del Codice civile; in mancanza della prestazione entro il termine fissato, il contratto si intenderà risolto di diritto e anche in tale caso non sarà necessaria la risoluzione per via giudiziale, risparmiando così mesi preziosi ed evitando l’alea del giudizio, con i rischi che ne derivano.
È chiaro che, anche laddove non fosse previsto in contratto il suddetto termine “essenziale”, o non fosse stata inserita una “clausola risolutiva espressa” (o più di una), resta al committente la tutela generale prevista dall’articolo 1454 del Codice civile per la quale potrà intimare per iscritto all’appaltatore di adempiere alle sue obbligazioni entro un dato termine preavvisandolo che, in caso contrario, il contratto si intenderà risolto. Laddove l’adempimento non intervenga entro tale termine, che non potrà comunque essere inferiore a quindici giorni salvo casi particolari, il contratto si intenderà anche in questo caso “risolto di diritto”.
Ovviamente l’appaltatore potrà sempre valutare di agire in giudizio nei confronti del committente per far valere le proprie ragioni, laddove ritenga di averne.
In tal senso può essere utile che il testo del contratto venga redatto a 4 mani, non solo da un legale, ma anche da un professionista tecnico (dal direttore lavori o da un consulente specializzato), che conosce meglio le dinamiche del cantiere.
Nella pratica quotidiana è difficile che l’appaltatore rinunci alla possibilità di agire in giudizio nei confronti del committente qualora gli venga contestato un inadempimento, con il fine di rovesciare il quadro delle responsabilità e anche per cercare di allontanare il rischio di una richiesta di risarcimento dei danni che il suo inadempimento può aver causato. Laddove siano state circostanziate in modo adeguato nel contratto di appalto le clausole di risoluzione e laddove, tanto più, la contestazione venga accompagnata da una perizia giurata che attesti la situazione sul piano tecnico, l’impresa sarà meno propensa ad opporsi alla risoluzione, poiché aumenterebbe il rischio di incorrere in una sentenza che la condanni, oltre che alla rifusione delle spese legali sostenute dal committente per la propria difesa, anche al risarcimento dei danni in suo favore per aver agito in giudizio con mala fede o colpa grave.
E una volta risolto il contratto?
Risolvere il contratto può significare rimanere a piedi del tutto, oppure può consentire di aprire una nuova partita, nel senso che oggi, forse, non è più impossibile trovare sul mercato operatori disponibili a fare i lavori, perché l’ingolfamento di richieste di qualche mese fa sembra essere entrato in fase calante.
Indipendentemente dalla speranza di trovare una nuova ditta, l’unica alternativa alla risoluzione del contratto, se l’impresa non risponde ai solleciti, è l’avvio di una procedura giudiziale per chiedere una sentenza che condanni l’impresa ad adempiere alla propria obbligazione, procedura nella quale si può chiedere al contempo che il giudice stabilisca la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Ma i tempi della giustizia non sempre coincidono con le esigenze del contribuente, nemmeno ricorrendo ai procedimenti che vengono definiti d’urgenza, che richiedono comunque vari mesi di istruttoria.