Superbonus 110% per la facciata in klinker che cade a pezzi
Ogni moda ha la sua epoca e, a volte, è bello dare un’occhiata alle nostre spalle per capire come cambiano i gusti.
Oggi a nessun architetto verrebbe in mente di rivestire le facciate di un palazzo con mattonelle verdi di ceramica o di klinker, non solo perché non sono isolanti, ma anche perché non convincerebbero mai gli occhi del cliente.
Negli anni ’70 invece piaceva fare così e sono stati realizzati in questo modo tantissimi condomìni che ora richiedono interventi di manutenzione costosi e urgenti, perché le piastrelle iniziano a staccarsi.
Il “fine vita” dei rivestimenti in klinker
I rivestimenti in mattonelle di klinker venivano realizzati mediante semplice incollaggio al muro retrostante, normalmente pre-intonacato.
Le problematiche più diffuse che oggi si riscontrano derivano dal cedimento della malta di allettamento e quindi dalla perdita di aderenza al supporto murario. Si consideri che i rivestimenti in klinker arrivano mediamente a fine vita nel giro di 50-60 anni e quindi, considerando l’epoca di costruzione della maggior parte di essi, i lavori di manutenzione iniziano a capitare con sempre maggiore frequenza.
Il fenomeno del distacco infatti, una volta innescato, tende a propagarsi nel giro di pochi anni, per effetto delle sollecitazioni dovute agli eventi meteorologici (dilatazioni termiche, sbalzi di temperatura, umidità ambientale ecc.) e può portare alla caduta delle mattonelle con conseguenti problematiche estetiche e pericoli per la pubblica incolumità.
Le tecniche di intervento
Anzitutto va detto che prima di ipotizzare un intervento su una facciata rivestita con piastrelle è importante eseguire una “mappatura” delle problematiche esistenti, mediante ispezione visiva in quota e “battitura” delle superfici. Tale operazione deve essere eseguita da imprese specializzate e sotto il controllo di un tecnico abilitato.
Gli interventi di ripristino possono essere più o meno invasivi. Senza rimuovere il rivestimento si possono valutare tecniche di consolidamento chimico, che prevedono l’iniezione di resine epossidiche fluide, reticolabili a freddo, che creano un nuovo “ponte” di adesione superficiale.
Oppure si possono valutare tecniche di consolidamento meccanico, mediante inserimento di un numero precalcolato di perni in vetroresina nelle fughe del rivestimento.
Occorre tuttavia precisare che i suddetti interventi seppure poco invasivi, hanno il limite di prolungare il fine vita di pochi anni (mediamente 10-15 anni) e quindi non sono definitivi.
In alternativa, soprattutto se il fenomeno è esteso a “macchia di leopardo” si può procedere con la parziale rimozione e sostituzione di porzioni più o meno grandi del rivestimento, sempre che si riescano a trovare in commercio mattonelle uguali a quelle preesistenti.
Quest’ultimo aspetto è molto delicato poiché lievi variazioni cromatiche dei nuovi materiali possono generare una facciata “stile arlecchino” che potrebbe essere oggetto di contestazioni.
L’unico intervento davvero risolutivo è quello che prevede la messa a nudo delle pareti, con rimozione completa del vecchio piastrellame e sostituzione con altro materiale di rivestimento o con cappotto termico.
Tuttavia, in tal caso, la delibera che autorizza il lavoro è opportuno che venga approvata con il consenso unanime di tutta la collettività condominiale (1000/1000), ai sensi dell’art.1120 c.c. Questo principio è stato espresso dal Tribunale di Milano in composizione collegiale nell’ordinanza del 30 settembre 2021, con motivazioni legate alla lesione del decoro architettonico del fabbricato che, a seguito dell’intervento, può mutare irreversibilmente, a causa dell’applicazione di nuovi colori e di nuovi materiali.
A tale proposito si evidenzia che la disciplina codicistica non è mai derogata dalle disposizioni dettate dal D.L. n. 34/2020, in quanto l’eventuale alterazione del decoro architettonico costituisce un limite imposto alla legittimità dell’innovazione diretta al miglioramento dell’efficienza energetica del fabbricato (Cass. civ., n. 10371/2021).
Le detrazioni fiscali applicabili
A seconda dell’intervento di manutenzione che si va a fare si possono applicare detrazioni fiscali diverse.
Se si intende effettuare il “semplice” consolidamento delle piastrelle esistenti, mediante tassellature diffuse o aggrappanti chimici, ovvero se si procede con la sostituzione parziale o anche totale del rivestimento, pertanto senza alcun miglioramento sismico o efficientamento energetico, si potrà beneficiare del “bonus casa” con detrazione del 50% della spesa sostenuta.
La “Guida ristrutturazioni” dell’Agenzia delle Entrate prevede infatti tra gli interventi ammessi alla detrazione per le pareti esterne il “Rifacimento, anche completo, con materiali e colori uguali a quelli preesistenti”.
Se invece si intende rimuovere definitivamente l’intero rivestimento, mettendo a vista il sottostante intonaco e alleggerendo così l’intera struttura, l’intervento consentirà facilmente di giustificare una riduzione del rischio sismico e pertanto potrà fruire del Super Sismabonus, con detrazione al 110% delle spese sostenute fino al 31/12/2023.
Le spese potranno riguardare l’intero lavoro, dalla rimozione e smaltimento del vecchio rivestimento fino alla tinteggiatura del muro di supporto.
Qualora, come terza ipotesi, si intenda migliorare dal punto di vista energetico l’edificio, con rimozione delle piastrelle esistenti e applicazione del cappotto termico, la detrazione disponibile sarà quella derivante dal Super Ecobonus, anche in questo caso con detrazione al 110% di tutte le spese sostenute entro il 31/12/2023.