
Bonus edilizi e crediti non spettanti nel cassetto fiscale: cosa fare
I crediti fiscali erroneamente caricati nel cassetto fiscale, si possono restituire al fisco per evitare sanzioni?

A causa di alcuni errori nella pratica di ristrutturazione della villetta in cui abito, per la quale avevo previsto la fruizione del Superbonus, il mio commercialista mi ha informato che nel mio cassetto fiscale sono stati caricati crediti per circa 300 mila euro, un importo decisamente superiore alla cifra corretta, che dovrebbe essere circa la metà. Poiché la maggior parte di questi crediti risulta “non spettante”, vorrei capire come restituirli. Essendo in buona fede, se fosse possibile effettuare un F24, provvederei subito a versare allo Stato la somma indebita, con l’intento di evitare l’applicazione di interessi e sanzioni, e soprattutto prevenire un possibile recupero nell’ambito di un controllo fiscale.
La risposta dell’esperto
Quando un contribuente ha avuto accesso a una detrazione d’imposta che, per un motivo o per un altro, non gli spetta, scatta la necessità di “rimborsare” quanto indebitamente fruito. Tale meccanismo, posto a tutela delle casse statali, è evidentemente correlato al verificarsi di un c.d. “danno erariale”, ovvero di un vero e proprio ammanco nel bilancio pubblico, causato dal comportamento del contribuente.
Il caso presentato dal gentile lettore non specifica se il credito Superbonus da egli percepito sia stato già utilizzato a detrazione delle imposte dovute direttamente nel proprio F24, e neanche se invece abbia optato per la cessione del credito a un terzo o all’impresa esecutrice, utilizzando lo sconto in fattura. Infatti, in base al “ciclo di vita” del bonus, gli step da seguire variano molto, alla luce del fatto che l’Agenzia delle Entrate ha chiarito ufficialmente un principio molto ragionevole: in caso di cessione del credito o sconto in fattura, la violazione sussiste solo nel momento in cui il terzo “monetizza” il credito, utilizzandolo effettivamente in compensazione. Attenzione, però, perché tale meccanismo opera solo in caso di errori in buona fede e ravvedimenti tempestivi. Una prima sentenza in materia inquadra infatti come reato la percezione di crediti d’imposta inesistenti dovuta a comportamenti criminosi, a prescindere dall’effettiva compensazione o meno degli stessi.
Come regolarizzare la propria posizione
Le indicazioni da fornire al gentile lettore su come procedere a riversare l’indebito, nel caso in cui sia stata effettuata una cessione, dipendono a stretto giro da “dove si trovano” i crediti fiscali. In sintesi, sono tre le situazioni ipotizzabili: 1) la comunicazione dell’opzione non è stata ancora inviata; 2) la comunicazione è stata inviata ma non ancora accettata; 3) la comunicazione è stata inviata e accettata, ma il credito non è stato né compensato né ulteriormente ceduto.
Nel primo caso, lo sconto in fattura (o cessione a terzi) non si è ancora perfezionato, e il credito non esiste, e dunque non vi è un importo da restituire. Di conseguenza, se la comunicazione di cessione non è ancora intervenuta, il contribuente dovrà attivarsi per modificare la contabilità indicata nelle fatture. In particolare, non serve annullarle e riemetterle, ma è preferibile che l’impresa esecutrice che ha effettuato lo sconto (in maniera superiore a quanto possibile in base alle norme) rilasci un documento extra fiscale con il quale documenta il parziale venir meno dello sconto (in tal senso si è espressa l’Agenzia, con risposta a interpello n. 581/2022). Infine, in questo caso le somme non pagate all’impresa a causa di uno sconto sovrastimato, dovranno essere versate alla stessa, ma la macchina della sanzione tributaria non si attiva.
Se, invece, il lettore si trova nella situazione di cui al punto 2), sarà fondamentale che il fornitore rifiuti i crediti d’imposta di cui si è comunicata la cessione. Se ciò avviene senza problemi, anche in questo caso nessuna sanzione sarà dovuta e saranno solo da effettuare gli “aggiustamenti contabili” sopra descritti.
Più complicata, invece, è la circostanza descritta al punto 3), nella quale risulta fondamentale la collaborazione del cessionario. Infatti, se i crediti sono stati già accettati da quest’ultimo, che non li ha però “monetizzati” compensandoli con le proprie imposte dovute o cedendoli a sua volta, può essere richiesto (a firma congiunta di beneficiario e cessionario) l’annullamento dell’accettazione della comunicazione, così come illustrato dalle Entrate nella circolare n. 33/2022.
Se il cessionario collabora, la modalità di restituzione è la stessa dei punti 1) e 2), e non saranno dovute sanzioni. Ma se, purtroppo, egli si rifiuta di apporre la sua firma a tale richiesta o se ha già utilizzato il credito (concretizzando il danno erariale), allora il gentile lettore beneficiario del Superbonus dovrà riversare allo Stato 120 mila euro, pari all’importo dell’indebita detrazione ceduta, al fine di “precostituire” il credito utilizzato dal cessionario, offrendo cioè una base economica per “rattoppare” l’uscita illegittima della somma dalle casse statali.
Sanzioni e interessi
Nell’ultima, più sfortunata, ipotesi descritta, si ritiene che il contribuente potrà disapplicare sanzioni e interessi solo se potrà provare che il credito da egli ceduto non è stato ancora compensato alla data del riversamento. In caso contrario, per rimuovere la violazione saranno dovuti interessi e sanzioni, alleggeriti tramite l’istituto del ravvedimento operoso.
Come poter provare tale elemento è ad oggi un mistero, poiché l’amministrazione non ha fornito indicazioni ufficiali. Tuttavia, è ragionevole ritenere che per la prima annualità del credito d’imposta sia sufficiente produrre una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà con cui il fornitore (o il diverso acquirente del credito) specifichi di non aver compensato la somma ricevuta, allegando possibilmente copia del proprio cassetto fiscale. Per le annualità successive, invece, la prova non ha bisogno di particolare documentazione a supporto, dato che il bonus non può essere stato ancora compensato per legge, dato che l’art. 121, co. 3, del D.L. 34/2020 specifica che “i crediti d’imposta (ceduti, ndr.) sono utilizzati in compensazione […] con la stessa ripartizione in quote annuali con la quale sarebbe stata utilizzata la detrazione”.