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Superbonus e bonus edilizi: come ottenere il risarcimento da perdita di chance?
L’evoluzione giurisprudenziale sta portando a un quadro sempre più complesso, soprattutto in condominio. Occhio anche alla quantificazione del danno e all’inerzia del richiedente.
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La normativa sul Superbonus ha legato l’accesso alla detrazione a molti e stringenti requisiti, tanto tecnici quanto procedurali e temporali, il cui rispetto è ricaduto non solo sul committente, ma su una lunga serie di soggetti.
Bonus edilizi: il danno da perdita di chance
Quando qualcosa è andato storto nella catena di obblighi, ecco allora che ricostruire le responsabilità diventa complesso, ma allo stesso tempo cruciale, poiché il comportamento dell’impresa (ma anche di un tecnico, e persino dell’amministratore di condominio) può aver provocato un danno consistente nella “perdita di chance” di fruire del beneficio fiscale, o di fruirne tramite la modalità dello sconto in fattura.
Che il danno da perdita di chance venga riconosciuto, però, non è affatto detto, e si è spesso avuto modo di sottolineare la necessità di fornire al Giudice elementi “forti” e ben circostanziati per avere qualche speranza.
Purtroppo, non c’è una mente unica a regolare il funzionamento di simili questioni, ed è piuttosto necessario “seguire” l’andamento giurisprudenziale in materia, in modo tale da avviare una causa – se del caso – adottando una strategia il più possibile prudente e orientata. Lo scorso 7 gennaio, in particolare, è stata emanata una sentenza che porta a galla ulteriori ostacoli all’ottenimento di un simile risarcimento, avendolo negato a una compagine condominiale proprio perché richiesto da questa nel complesso, e non dai singoli.
Deve agire il singolo condòmino
Si tratta della sentenza n. 21/2025 del Tribunale di Monza, che ha risolto una questione relativa a una pratica Superbonus mai avviata a causa dell’inerzia dell’amministratrice del condominio interessato. In base a una delibera assembleare, infatti, quest’ultima avrebbe dovuto affidare gli incarichi tecnici per svolgere alcune verifiche urbanistiche necessarie per accedere al Superbonus. Avendo però mancato di farlo, rimanendo inerte per 13 mesi, il condominio perdeva la possibilità di usufruire dello sconto in fattura (dato l’intervento del D.L. n. 11/2023), dovendo così anticipare l’intero costo dell’appalto, superiore al milione di euro.
Pertanto, il condominio ha chiesto all’amministratrice un risarcimento pari proprio a tale importo, ricevendo però il rigetto da parte del Tribunale. Oltre a non aver portato prove sufficienti, infatti, il condominio è risultato carente della “titolarità attiva del diritto al risarcimento”. In altre parole, cioè, non è all’intera compagine che spetterebbe il risarcimento, ma ad ogni condòmino per sé, e ciò proprio a causa del funzionamento del Superbonus. In base alla Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 24/2020, infatti, non è obbligatorio che tutti i condòmini scelgano la stessa modalità di fruizione, cosicché “la circostanza che sia il singolo condomino ad usufruire della detrazione ed a dover effettuare la scelta tra l’uso diretto della detrazione stessa in dichiarazione, ovvero la cessione del credito o lo sconto in fattura rendono alquanto evidente che, nel caso in cui lo sconto in fattura sia divenuto inutilizzabile per il ritardo colpevole dell’amministratore del condominio nell’eseguire le delibere assembleari, il danno da perdita di tale opzione si produce non già in capo al condominio complessivamente considerato, bensì in capo a ciascun singolo comproprietario”.
I problemi nella quantificazione del danno
La prima criticità pratica che deriva da quanto appena illustrato riguarda, dunque, chi deve richiedere il risarcimento. Nonostante giudici diversi potrebbero ragionare diversamente, pare ora opportuno che ogni condòmino sollevi la sua causa “personale”, cosa che nei condomini più grandi potrebbe risultare particolarmente difficoltosa. Ma non solo, perché leggendo la sentenza di Monza accanto a un’altra recente pronuncia, vale a dire la n. 356 emanata dal Tribunale di Milano lo scorso 15 gennaio, emerge un ulteriore scoglio.
Con quest’ultima, infatti, il Giudice ha rimodulato al ribasso il risarcimento richiesto dal proprietario di un immobile che, dopo aver incaricato un’impresa della realizzazione di opere agevolabili con Superbonus, era stato abbandonato dalla stessa, con la conseguenza di aver perso la possibilità di accedere alla detrazione. In particolare, il committente aveva chiesto un risarcimento pari al prezzo stabilito nel contratto d’appalto disatteso, ma il Tribunale ha, piuttosto, scelto di riferirsi al mancato aumento di valore dell’immobile, un importo spesso inferiore e – soprattutto – non sempre facile da valutare. Il motivo per il quale il danno non è pari al valore delle opere non eseguite, secondo il Giudice, è dato sia dal fatto che il Superbonus ha “gonfiato” i prezzi, sia dalla possibilità di non subire alcun “reale” esborso monetario per la realizzazione dei lavori, data la possibilità di accedere allo sconto in fattura. Nel caso di specie, dunque, rispetto ai 190.000 euro richiesti, il Giudice ne ha riconosciuti solo 60.000, essendosi basato sulla stima del mancato aumento di valore dell’immobile derivante da una CTU.
Ebbene, una volta stabilito che a sollevare l’azione devono essere (prudenzialmente) i singoli condòmini, è evidente che si pone un problema di quantificazione del danno in relazione alle opere che riguardano le parti comuni del condominio. In generale, poi, ogni CTU potrebbe dare risultati diversi, e in certe occasioni un simile valore di riferimento potrebbe risultare persino indeterminabile.
L’inerzia non è ben vista
La prima sentenza illustrata (Tribunale di Monza, n. 21/2025) evidenzia inoltre come l’inerzia di chi subisce la perdita della detrazione può influenzare l’andamento del processo. Affinché sia riconosciuto un danno da risarcire, infatti, è necessario accertare che questo sia stato provocato proprio dal comportamento (anche omissivo) del soggetto a cui viene richiesto, vale a dire serve che sia dimostrata l’esistenza di un “nesso di causalità” tra la condotta e il fatto dannoso.
Per quanto, nel caso di specie, l’amministratrice sia rimasta colpevolmente inerte nell’esecuzione della delibera menzionata, il Giudice ha posto l’accento sul fatto che “anche i condomini non risultano aver indirizzato alla medesima alcun sollecito né alcuna richiesta di informazioni o di chiarimenti durante il medesimo periodo”, al punto che la stessa revoca dell’incarico veniva deliberata dopo oltre un anno dalla precedente delibera rimasta ineseguita.
La catena del nesso di causalità, insomma, potrebbe essere stata “interrotta” proprio dal fatto che il (presunto) danneggiato non ha fatto alcunché per evitare il danno. Così, aver sollecitato il corretto adempimento di chi di dovere, o essersi attivati per trovare una soluzione alternativa (ad esempio, nel caso in cui si sia stati abbandonati dall’impresa esecutrice, averne cercata una nuova da incaricare – magari senza successo), rappresentano circostanze che, se adeguatamente provate, aumentano la probabilità di ricevere un risarcimento per perdita di chance. Contrariamente, come è avvenuto nel caso trattato dal Tribunale di Monza, la sussistenza del nesso di causalità può risultare non dimostrata.