Il rapporto tra la legittimità dei lavori eseguiti e la spettanza delle agevolazioni fiscali che maturano a seguito della loro realizzazione è un tema molto delicato. È chiaro, infatti, che i bonus sorgono in relazione alle spese sostenute per l’esecuzione di interventi edilizi, e che se questi non sono regolari per un motivo o per un altro, le detrazioni non possono essere riconosciute.

E non si tratta solo di un dato logico. Una simile considerazione discende innanzitutto dall’ordinamento giuridico, in particolare dal TUE (Testo Unico dell’Edilizia, d.P.R. n. 380/2001).

I casi che possono verificarsi sono i più disparati, e uno dei più “pacifici” è rappresentato dalla mancata presentazione del titolo abilitativo dei lavori. Ma cosa accade quando invece il titolo esiste, ma non è quello corretto?

Tra CILAS, CILA, SCIA e Permesso di Costruire (PdC) corrono infatti molte differenze, e comprendere quale sia quello da presentare non è sempre semplice. Tutto dipende, in sintesi, dal tipo di lavori che devono essere eseguiti, ma occorre fare attenzione, perché l’erronea qualificazione degli interventi può anche portare a ordinanze di demolizione e, di conseguenza, alla perdita dei bonus edilizi connessi.

Sul tema, è stata emessa lo scorso 2 luglio la sentenza n. 5865 del Consiglio di Stato, con la quale è stato chiarito che se nel rifacimento di un tetto si procede ad aumentarne la volumetria, il titolo corretto è il PdC, non essendo sufficiente una SCIA.

Ristrutturazione pesante e Pdc

Nel dettaglio, l’intervento di cui si occupa la citata sentenza è consistito nello spostamento dell’asse della trave di colmo e nella modifica della sagoma dell’inclinazione del tetto dello stabile, in modo da ampliare la volumetria dell’unità immobiliare collocata nel sottotetto, ed estenderne la superficie abitabile. Questo, almeno, è quanto risultava dai progetti contenuti nel titolo abilitativo, in particolare una DIA.

Tuttavia, il Comune contestava la regolarità di tale intervento, sostenendo che non si tratterebbe di manutenzione straordinaria, ma piuttosto di un intervento di ristrutturazione pesante, pertanto da abilitare con un PdC.

Opponendosi a tali contestazioni, i proprietari sono giunti fino al Consiglio di Stato, che ha ritenuto corrette le conclusioni già formate nei precedenti gradi di giudizio. In particolare, il Comune avrebbe correttamente inquadrato come “ristrutturazione pesante” ai sensi dell’art. 10, co. 1 del TUE le opere realizzate sul tetto. Ciò in quanto la norma esplicitamente sottopone alla necessità del PdC “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva”, e nel caso di specie “l’incremento volumetrico determinato dallo spostamento della trave al colmo e dalla variazione di altezza esclude la riconducibilità dell’intervento in questione alla manutenzione straordinaria”.

Lo stato di fatto

All’interno di tale vicenda giuridica, a nulla è valso il rilievo dei proprietari dell’immobile contestato, in base al quale l’aumento di volumetria risultava solo dal titolo abilitativo, per quanto di tipologia errata, ma non corrispondeva a quanto effettivamente realizzato, che sarebbe invece stato lecito. A riguardo, infatti, i giudici hanno sottolineato “l’impossibilità di invocare uno stato di fatto diverso da quello risultante dai titoli edilizi”. Poco importa, dunque, se chi riceve simili contestazioni si trova di fronte a un accertamento solo “sulla carta”, perché questo è sufficiente a portare a un’istanza di demolizione, com’è avvenuto nel caso di specie.

In altre parole, cioè, l’intervento a cui l’amministrazione si riferisce nel valutare la correttezza o meno del titolo abilitativo (e quindi la regolarità di quanto realizzato) è unicamente quello assentito, così come emerge dagli elaborati progettuali allegati, “a nulla rilevando eventuali difformità dallo stato di fatto rispetto a quanto ivi rappresentato”.

È evidente, allora, che la qualificazione degli interventi da parte dei tecnici cui ci si affida rappresenta un momento di enorme delicatezza. È sulla base di questa, infatti, che saranno predisposti i documenti necessari e sarà individuato il titolo abilitativo da presentare, e scegliere quello “sbagliato” (senza accorgersene in tempo) può avere pesanti ripercussioni sulla liceità dei lavori, che possono spiegarsi negativamente anche sugli eventuali bonus edilizi.

La possibile decadenza dai bonus

La recente sentenza offre alcuni spunti interessanti anche riguardo alle varie detrazioni fiscali di cui un simile intervento avrebbe potuto beneficiare. I lavori sul tetto, infatti, possono astrattamente accedere al Sismabonus (DL 63/2013, art. 16), nel momento in cui siano in grado di migliorare le prestazioni anti-sismiche dell’edificio. Lo stesso vale per l’Ecobonus (DL 63/2013, art. 14), che risulta fruibile per simili interventi sempre che siano raggiunti gli obiettivi di efficientamento energetico posti dalla normativa vigente. Infine, intervenire sul tetto può portare alla fruizione del bonus più “classico” di tutti, il c.d. Bonus Ristrutturazioni regolato dall’art. 16-bis del Tuir (DPR 917/1986), in vigore nel nostro ordinamento senza scadenza.

Il corretto inquadramento delle opere dal punto di vista tecnico, in particolare, è fondamentale per la legittima spettanza di tali detrazioni. A stabilirlo è lo stesso TUE, il cui art. 49 prevede che “gli interventi abusivi realizzati in assenza di titolo o in contrasto con lo stesso, ovvero sulla base di un titolo successivamente annullato, non beneficiano delle agevolazioni fiscali previste dalle norme vigenti”.

Insomma, la regolarità dell’intervento è una “precondizione” necessaria per beneficiare dei bonus edilizi, e in un caso come quello trattato il 2 luglio dal Consiglio di Stato, la scelta del titolo edilizio sbagliato, porta non solo al rischio di vedersi opporre un’ordinanza di demolizione, ma anche a quello di subire un gravoso recupero fiscale, nel momento in cui in gioco c’è qualche bonus.

Come salvare la situazione

Quanto fino a qui illustrato non significa, però, che ogni qual volta venga commesso un errore sulla qualificazione delle opere allora i beneficiari dei bonus edilizi sono “spacciati”. Certo, è sempre preferibile che le valutazioni a monte siano le più precise possibili, e risulta fondamentale affidarsi a personale tecnico qualificato.

Sul punto, tuttavia, l’Agenzia delle Entrate ha spiegato che la decadenza dai bonus a causa del titolo errato può essere evitata. In particolare, con la Circolare n. 17/2023 l’AdE ha esplicitamente chiarito che “la realizzazione di opere edilizie non rientranti nella corretta categoria di intervento per le quali sarebbe stato necessario un titolo abilitativo diverso da quello in possesso […] non può essere considerato motivo di decadenza dai benefici fiscali, purché il richiedente metta in atto il procedimento di sanatoria previsto dalle normative vigenti”.