Superbonus e attestazioni ENEA a SAL: le opere asseverate devono essere conformi al progetto?
Realizzare opere diverse da quelle previste nei progetti è consentito anche in caso di Superbonus, ma la variante della CILAS a fine lavori apre dubbi su come produrre correttamente le asseverazioni nelle fasi intermedie.
Sono un termotecnico e mi trovo in una spiacevole situazione. In un cantiere Superbonus l’impresa ha realizzato, al posto di un cappotto tradizionale come previsto, un cappotto nanotecnologico a basso spessore, in accordo con il direttore dei lavori.
Io ho effettuato l’asseverazione del secondo SAL attestando l’esecuzione del cappotto nanotecnologico e considerando il relativo importo, senza curarmi di verificare che fosse stata variata la CILAS.
In fase di apposizione del visto di conformità il commercialista ha rilevato un’anomalia, sostenendo che non è possibile ricomprendere nei SAL opere che non risultino nei progetti. Di conseguenza il cliente, allarmato, mi ha fatto scrivere una lettera di diffida e di contestuale richiesta danni da un proprio legale.
Io e il direttore dei lavori, però, non siamo d’accordo con questa lettura, in quanto riteniamo che sia sempre possibile presentare varianti ai progetti a fine lavori.
Dunque, sono a chiedere se, quando si rilascia un’asseverazione in una fase intermedia (non a fine lavori), i progetti devono essere allineati con quanto realizzato oppure se tutto si può sistemare con una variante a fine lavori.
L’Esperto risponde
L’edilizia è un mondo complesso, caratterizzato (o almeno così dovrebbe essere) da un elevato grado di programmazione tecnica che precede la realizzazione degli interventi. Ma non sempre le cose vanno come si vorrebbe, magari perché in corso d’opera ci si accorge che le esigenze sono diverse, o sopraggiungono problemi.
In questi casi, come correttamente indicato dal gentile lettore, è sempre possibile “chiudere il cerchio” apportando una variante alla fine dei lavori, operazione consentita anche in caso di fruizione del Superbonus.
Tuttavia, la possibilità di apportare varianti al titolo abilitativo dei lavori (la CILAS, nel caso del Superbonus) può confliggere con le asseverazioni “a SAL”, rilasciate cioè in una fase intermedia, quando ancora i lavori non sono finiti. Le fonti normative che regolano la produzione di tali documenti tecnici necessari per la spettanza dei bonus edilizi, infatti, fanno riferimento alla corrispondenza tra quanto realizzato e i progetti. E tale assetto sembra ragionevole, perché se non si facesse riferimento ai progetti, si potrebbe asseverare qualunque cosa, privando gli Enti accertatori del loro potere di controllo, ma allo stesso tempo genera un cortocircuito.
Come in altri casi, dunque, siamo di fronte a un dilemma, per il quale risulta auspicabile un chiarimento ufficiale, per comprendere se adottare un’interpretazione rigida o una più “permissiva”.
Il Decreto Semplificazioni-bis
Per quanto riguarda la possibilità di variare il titolo abilitativo dei lavori in caso di Superbonus, è stato il DL 77/2021 (c.d. Decreto Semplificazioni-bis) ad ammetterla esplicitamente. Inserendo all’interno del decreto che regola il Superbonus (DL 34/2020) un nuovo comma (art. 119, co. 13-quinquies), la normativa ha previsto che “in caso di varianti in corso d’opera, queste sono comunicate alla fine dei lavori e costituiscono integrazione della CILA presentata”.
Dunque, nel caso presentato, non è un problema l’aver realizzato un cappotto termico diverso da quello dichiarato nella CILAS e nei progetti, purché una volta ultimate le lavorazioni ci si premuri di variarla come consentito. Dal quesito, emerge che il tecnico che ha rilasciato l’asseverazione a SAL non ha verificato se detta variazione fosse avvenuta, ma se i lavori sono ancora in corso, ciò è del tutto normale.
Il problema, piuttosto, risiede nel fatto che per quanto il Decreto Semplificazioni-bis preveda la liceità di realizzare opere diverse da quelle dichiarate, questo non contempla allo stesso modo il caso delle asseverazioni intermedie che, da una lettura rigorosa dei decreti, sembra che debbano essere redatte certificando la corrispondenza delle opere con i progetti. Se questi non sono ancora stati variati, allora, potrebbe generarsi un intoppo che, in punta di diritto, neanche la presentazione della variante a fine lavori sarebbe in grado di sanare.
L’aderenza ai progetti
Secondo un’interpretazione rigida, insomma, quando si rilascia un’asseverazione l’operazione dovrebbe avvenire con riferimento alle opere previste in progetto, non astrattamente regolarizzabili in futuro, perché la normativa, come accennato, fa riferimento ai “progetti”. L’art. 119 co. 13-bis del DL 34/2020, infatti, specifica che “l’asseverazione rilasciata dal tecnico abilitato attesta i requisiti tecnici sulla base del progetto e dell’effettiva realizzazione”.
Il significato di una simile disposizione è però dubbio. In un primo momento è richiesto che vengano attestati i requisiti tecnici “sulla base del progetto”, lasciando dunque intendere che l’asseverazione a SAL non possa riportare i dati di lavori non previsti nelle carte depositate, come ha fatto il tecnico del quesito. Eppure, la norma si riferisce anche alla “effettiva realizzazione” che, come detto, ben può essere difforme rispetto al progetto, considerata la possibilità di regolarizzare il tutto con una variante a fine lavori. Emerge così lo spazio per considerare valida un’interpretazione più “estesa”, soprattutto se si considera che una fase della procedura telematica per caricare l’asseverazione sul portale ENEA (che però, si ricorda, non è fonte normativa), prevede la possibilità di indicare se sono state realizzate “varianti in corso d’opera”.
Eppure, anche altre norme citano i progetti, avvalorando tesi più restrittive. È il caso del co. 13, lett. b) del citato art. 119, che rimanda al DM 6 agosto 2020, nel quale “sono stabilite le modalità di trasmissione della suddetta asseverazione e le relative modalità attuative”.
Il decreto richiamato, in particolare, prevede al suo art. 4 che “nei casi in cui l’asseverazione si riferisca a uno stato di avanzamento delle opere per la loro realizzazione […] è acquisita dichiarazione del tecnico abilitato che asseveri il rispetto dei requisiti secondo quanto indicato dal progetto”. In questo caso si parla dunque di progetto, senza alcun riferimento alla “effettiva realizzazione”.
E non solo, perché lo stesso DM riporta due allegati, uno riferito all’asseverazione sullo “stato finale” e l’altro all’asseverazione dei SAL intermedi. In entrambi è ripetutamente specificato che occorre fare riferimento al “progetto”. Ad esempio, al p.to 3.1 è da indicare “il costo complessivo degli interventi di progetto previsti sulle parti comuni”, e nel successivo p.to 3.2 va esposto “il costo complessivo degli interventi di progetto sulle parti private”.
Come se non bastasse, il modello chiede di dichiarare che con gli interventi previsti l’edificio consegue il miglioramento di due classi energetiche e di specificare la classe iniziale e quella finale “secondo i dati di progetto”.
Cosa fare
La questione purtroppo è irrisolta. Nel caso concreto il termotecnico avrebbe potuto rifiutarsi di rilasciare l’asseverazione, considerata l’assenza della variante depositata, ma con conseguente grave pregiudizio per il committente, che probabilmente avrebbe contestato una simile scelta professionale.
Volendo procedere non aveva altra strada che certificare le opere effettivamente realizzate, anche se “difformi” dai progetti depositati. Sembra lecita, in tal senso, un’interpretazione più “bonaria”, in base alla quale la parola “progetti” usata nei decreti non è da intendere come progetti “depositati” in senso stretto. Si potrebbe intendere la parola “progetti”, cioè, come un riferimento alla generica esistenza di un elaborato che giustifichi le opere oggetto di asseverazione, anche diverso da quello depositato mediante CILAS. L’elaborato di progetto in questione dovrebbe dimostrare che la variazione delle opere è tale da garantire (ad esempio) il doppio salto di classe energetica che l’asseveratore dichiara nel proprio attestato e che portano alla maturazione dei bonus fiscali. Ma in tal caso si ritiene consigliabile che l’esistenza del progetto a cui fare riferimento sia comprovabile mediante un documento con data certa, magari inviato a mezzo pec.
Laddove invece, in sede di controllo, prevalesse una interpretazione più restrittiva, il rischio sarebbe quello di ricadere sotto la scure del co. 13-bis.1 dell’art. 119, in base al quale “il tecnico abilitato che, nelle asseverazioni di cui al comma 13 e all’art. 121 comma 1-ter, lettera b), espone informazioni false o omette di riferire informazioni rilevanti sui requisiti tecnici del progetto di intervento o sulla effettiva realizzazione dello stesso ovvero attesta falsamente la congruità delle spese, è punito con la reclusione da 2 a 5 anni e con la multa da 50.000 a 100.000 euro”, con tutte le conseguenze che ne derivano anche a danno del committente dei lavori.