Proroga delle comunicazioni di cessione al 4 aprile: corsa contro il tempo per piazzare i crediti
Nella fretta di vendere i crediti o di acquistarli alle condizioni più convenienti, non è sufficiente la raccolta documentale minima per scongiurare sequestri o sanzioni.
Cedere i crediti d’imposta legati alle detrazioni edilizie significa innanzitutto tenere d’occhio le tempistiche che rendono l’operazione possibile. Presupposto necessario per la cessione è infatti darne comunicazione all’Agenzia delle Entrate, come previsto dall’art. 121 del DL 34/2020. Per le spese sostenute nel 2023, la scadenza entro cui produrre la comunicazione è stata recentemente prorogata al 4 aprile 2024 (rispetto al precedente 16 marzo 2024), tramite il Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate n. 53159/2024, offrendo così un attimo di respiro agli operatori interessati alle cessioni, che si trovano a gestire un’operazione delicata e che richiede tempo per essere ultimata appropriatamente.
In questi giorni, in conseguenza della proroga, c’è un certo fermento tra cedenti e cessionari di crediti d’imposta: i primi hanno fretta di vendere per non perdere il treno, i secondi hanno fiutato buoni affari, potendo spuntare prezzi migliori. In questa dinamica, però, non bisogna mettere da parte un’attenzione scrupolosa dal punto di vista tecnico, che fa la differenza tra un’operazione sicura e una più esposta a conseguenze fallimentari, come il congelamento delle somme o recuperi fiscali con tanto di sanzioni.
Chi intende acquistare i crediti, insomma, dovrà non solo assicurarsi il possesso di tutta la documentazione utile a scongiurare rischi in termini di corresponsabilità nelle eventuali violazioni commesse dal cedente, ma anche attuare alcune verifiche tecniche ulteriori che permettono di tutelarsi da futuri controlli fiscali.
Raccogliere la documentazione non basta
Il DL 11/2023 ha avuto il merito di regolare l’eventualità in cui il cessionario si trovi nella spiacevole situazione in cui il credito acquistato non spettava al beneficiario (il cedente), magari perché l’iter edilizio che lo ha generato non ha rispettato obblighi disposti a pena di decadenza dai bonus. Il decreto, infatti, salva chi acquista il credito dal coinvolgimento con il cedente in termini di responsabilità, a condizione che egli possieda una lunga lista di documenti che riguardano la pratica, come fatture, asseverazioni, titoli abilitativi e visure catastali.
È chiaro, allora, che nella frenesia di questi giorni non bisognerà “farsi scappare” neanche una di queste carte, ma neanche ci si potrà fermare a questo tipo di precauzione. O meglio, il possesso della documentazione basta per evitare di essere considerati complici di un reato, ma espone comunque al rischio di vedersi sottratti con sequestro i crediti ricevuti. È recente al proposito una sentenza della Cassazione, la n. 3108/2024, con la quale la Suprema Corte ha ritenuto lecito il sequestro di crediti Superbonus subito da una banca che li aveva acquistati in buona fede da soggetti che hanno falsificato asseverazioni e fatturazioni relative a opere edilizie mai eseguite. A nulla è servita l’opposizione della banca, che riteneva di non poter subire il sequestro data l’esclusione della propria responsabilità proprio sulla base del DL 11/2023. La Cassazione, infatti, ha spiegato che i crediti illegali acquisiti da un terzo “costituiscono cose pertinenti al reato, senza che rilevi la condizione soggettiva di detti terzi, in conformità alle norme processualpenalistiche”.
Il sequestro, insomma, è slegato dalla responsabilità, e così l’unico vero modo per salvarsene del tutto è mettere in atto, prima di completare l’operazione di cessione, dei controlli accuratissimi sulla regolarità delle pratiche edilizie (e dei lavori) che hanno generato il credito.
Controlli e sanzioni
Chi acquista un credito d’imposta per scomputarlo dalle proprie imposte (cioè per compensarlo), deve tenere bene a mente le modalità di controllo fiscale possibili, poiché compensare un credito viziato (quando non prima sequestrato, come si è visto) ha conseguenze importanti in termini di sanzioni.
L’AdE, nel dettaglio, ha a disposizione 3 livelli di controllo, regolati dal DPR 600/1973. Il primo, detto liquidatorio (art. 36-bis), si attiva quando le “carte” non sono corrette e scatta in maniera automatizzata in sede di liquidazione delle imposte in base alle dichiarazioni dei redditi rese dai contribuenti. L’art. 36-ter regola poi il controllo formale, che interessa anche le “carte” in regola. Con questo, l’Agenzia può entrare più nei dettagli, con l’obbligo di aprire un contraddittorio e con la possibilità di richiedere al contribuente documentazione in più (fatture, bonifici, ecc.). La terza ipotesi riguarda il controllo sostanziale (artt. 37 e ss.), con il quale cioè l’AdE non si ferma a verificare la correttezza formale delle dichiarazioni, ma entra nel merito della situazione reddituale del singolo, svolgendo una vera e propria attività di indagine.
In base all’art. 13 del D.Lgs 471/1997, poi, è prevista una sanzione dal 100% al 200% del valore del credito “inesistente” compensato (co. 5) e del 30% in caso di credito “non spettante” (co. 4). Sono inesistenti i crediti carenti di uno o più dei presupposti costitutivi del bonus, purché la carenza non sia stata rilevata tramite il controllo automatizzato o formale. La fattispecie dei crediti d’imposta non spettanti, invece, è meno grave, e può configurarsi quando il Fisco rileva un’incongruenza nei dati forniti dal contribuente rispetto a quelli contenuti nelle banche dati con i controlli automatizzati e formali.
La categoria più insidiosa dei crediti inesistenti, però, potrebbe ampliarsi, anche se la sanzione prevista è destinata a scendere al 70% (aumentabile fino al 140% in caso di frodi). Uno schema di D.Lgs. proposto dal Governo, infatti, prevede l’irrilevanza del modo in cui il Fisco “scopre” la mancanza di presupposti, cosa che renderà in futuro ancor più cruciali i controlli tecnici approfonditi pre-cessione.