Superbonus e D.L. n. 212/2023: anche chi ferma i lavori deve spendere
Il nuovo decreto consente di fermare i lavori senza perdere l’aliquota al 110% o al 90%. Ma molti interventi richiedono comunque di essere portati avanti per motivi tecnici e in tal caso occorre sostenere costi che non rientrano nemmeno nel Superbonus.
Il condominio nel quale vivo è stato oggetto di un intervento di riqualificazione energetica che, in teoria, doveva beneficiare per intero del Superbonus. Purtroppo le cose non sono andate come speravamo, perché la ditta, dopo aver iniziato i lavori e averli realizzati fino al 40% del totale, se n’è andata. Ora avremmo deciso di sfruttare la finestra di uscita offerta dal DL 212/2023, che consente di interrompere l’esecuzione dei lavori senza perdere l’agevolazione fiscale al 110% maturata fino al 31 dicembre 2023. Tuttavia, il nostro tecnico ci ha spiegato che i lavori non possono essere interrotti del tutto, bensì che occorre comunque raggiungere uno stadio accettabile dal punto di vista tecnico e costruttivo. È vero tutto ciò? Dovendo quantificare i danni da addebitare alla ditta vorremmo essere sicuri di ciò che stiamo per fare.
L’esperto risponde: gli effetti del D.L. n. 212/2023
Sin dal suo avvento con il DL 34/2020, il Superbonus ha permesso un grande risparmio fiscale legato a stretto giro al completamento degli interventi edilizi agevolabili con lo stesso. La necessità di chiudere il cantiere è finita per essere un elemento sempre più delicato dato l’approssimarsi delle scadenze “a scaglioni” previste dal legislatore per l’agevolazione. Infatti, il DL 176/2022 (art. 9, co. 1, lett. a)) ha fissato la data di scadenza del Superbonus al 110% nel 31 dicembre 2022, portandolo poi al 90% fino al 31 dicembre 2023 (al netto di alcune eccezioni in cui è permesso detrarre al 110% anche le spese del 2023), al 70% per il 2024 e al 65% per il 2025. Di conseguenza, si è detto più volte che chi ha optato per la cessione del credito o lo sconto in fattura si è trovato a dover completare i lavori velocemente, entro la fine del 2023, per non incorrere in un drastico crollo della percentuale.
Tale situazione ha generato una vera e propria congiuntura, date le difficoltà che possono interessare ogni cantiere e la possibilità per nulla remota che le imprese risultino inadempienti o “ritardatarie” rispetto alle scadenze appena illustrate. Alle preoccupazioni dei (molti) committenti che si trovano nella spiacevole situazione di essere stati “abbandonati” dalla ditta, come è avvenuto al gentile lettore, il legislatore ha risposto con il DL 212/2023 dello scorso 29 dicembre. L’art. 1, co. 1 offre quella che sembra una preziosa scappatoia: chi non ha concluso i lavori entro il 31 dicembre 2023, potrà comunque accedere al Superbonus con sconto in fattura o cessione nella percentuale più alta del 2023, anche se dall’interruzione del cantiere dipende il mancato soddisfacimento del requisito del doppio salto di prestazione energetica.
Una manna dal cielo? Non del tutto.
Ancora una volta, la semplificazione non tiene conto della complessa realtà tecnica che sta dietro al mondo dell’edilizia. Se dal punto di vista fiscale, infatti, il nuovo decreto offre una “sanatoria”, se un edificio è interessato da una pratica edilizia che prevede determinate categorie di opere, i lavori non possono essere lasciati a sé stessi in qualunque momento e incondizionatamente. Occorre cioè sempre e comunque individuare uno scivolo per uscirne che trovi riscontro in una variante “in diminuzione” che giustifichi tecnicamente il rispetto delle normative sulla base delle opere fino a quel momento realizzate. Vediamo in quali casi e quali possibilità rimangono al gentile lettore.
Lavori necessariamente da completare
Quanto appena evidenziato appare particolarmente evidente se si considerano alcuni esempi pratici, anche molto banali e frequenti. Si pensi all’installazione del cappotto termico, di gran lunga il più gettonato degli interventi agevolabili con Superbonus realizzati dai condomini. Ipotizziamo che il cappotto sia stato applicato solo su metà della facciata prima dell’interruzione del cantiere. Senza considerare che tale opera risulterà antiestetica, il committente dovrà comunque portarla a termine almeno fino al punto in cui si scongiuri la presenza di “ponti termici” o di squilibri igrotermici incompatibili con le norme sul risparmio energetico (L 10/1991). Sul cappotto dovranno essere posati gli strati di finitura a perfetta regola d’arte e dovranno essere rifinite le spallette delle porte e delle finestre, altrimenti in pochi anni i materiali saranno soggetti a degrado. O ancora, se il progetto prevedeva, oltre alla realizzazione del cappotto, la sostituzione degli infissi, effettivamente messa in atto, non è detto che possa scegliersi di non installare il cappotto senza conseguenze, anche in questo caso, in termini di equilibrio igrotermico.
Se gli interventi fossero invece di tipo strutturale, come il rifacimento della copertura e il rinforzo delle fondazioni, aver completato la sola copertura (ad esempio) potrebbe non garantire le condizioni minime di sicurezza necessarie raggiungibili intervenendo anche sulle fondazioni. Lo stesso vale per gli interventi locali di rinforzo dei pilastri, la cui realizzazione parziale non può evidentemente evitare “sbilanciamenti” nelle rigidezze del fabbricato.
Insomma, i lavori non possono essere di certo fermati in qualunque stadio, come correttamente evidenzia il tecnico cui si è affidato il gentile lettore, cosicché per quanto possa essere conveniente ricorrere alla scappatoia del DL 212/2023, è altamente probabile che le opere che saranno poi necessarie nel 2024 siano numerose e, di conseguenza, costose.
E non solo, poiché sono illegittimi i lavori edilizi che non vengono completati entro 3 anni dal rilascio del permesso di costruire, a meno che non venga richiesta una proroga, da disporre con provvedimento motivato, solo in caso di fatti sopravvenuti indipendenti dalla volontà del titolare.
I costi che fuoriescono dal Superbonus
Alla luce di quanto fin qui illustrato, fermare i lavori comporta comunque dei costi, che dovranno essere sostenuti nel 2024 e che non potranno rientrare nel Superbonus in alcun modo. Si ritiene infatti che chi sceglie di avvalersi della scappatoia offerta dal nuovo decreto debba necessariamente fare un SAL e redigere una contabilità dei lavori al 31 dicembre 2023, per cristallizzare i lavori che possono beneficiare del 110%. Le opere da eseguire dopo tale data, qualora dall’interruzione dei lavori nel 2023 derivi il mancato salto di classe energetica previsto dalle norme per accedere al Superbonus, potranno semmai beneficiare dei bonus ordinari, anche se la nuova disposizione non specifica nulla a tale riguardo e in tal senso si auspica una specificazione da parte del Parlamento in sede di conversione.
In sostanza, accedendo alla finestra offerta dal DL rinunciando al doppio salto di classe energetica, si rinuncia anche al Superbonus per tutte quelle opere, non necessariamente poche, che servono per portare a un livello tecnicamente accettabile i lavori, nell’ambito di una variante degli stessi che dia conto della diversa configurazione che assume l’immobile escludendo una parte dei lavori e con le solite complicazioni procedurali che derivano dal mix di diverse detrazioni fiscali. Particolarmente dubbio il caso del Sismabonus che, nella sua versione ordinaria, rende obbligatorio il salto di classe sismica dell’edificio nella sua interezza. Ne deriva che le opere “di completamento” che non siano in grado di raggiungere tale condizione, potranno essere portate in detrazione con il bonus casa ordinario (Tuir, art. 16-bis), molto meno conveniente.
Chiaramente, tali elementi vanno valutati e certificati da un professionista di fiducia.